AGI - L'Arco di Tito, nel Foro Romano, è stato per 19 secoli un tabù per gli ebrei della Città Eterna che si rifiutavano di passare sotto il monumento del trionfo dell'imperatore che distrusse il tempio di Gerusalemme e diede origine alla diaspora. Eppure la fiaccolata in sostegno di Israele promossa dal 'Foglio' dopo l'offensiva di Hamas si è svolta proprio sotto quel simbolo della dinastia Flavia che guidò l'Impero Romano dal 69 d.C. al 96 d.C., e sull'Arco è stata proiettata la bandiera con la stella di David.
"Fu tra la fine del 1947 e l'inizio del 1948, con la nascita dello Stato di Israele, che la comunità degli ebrei italiani riconsiderò l'Arco di Tito", spiega all'AGI Roberto Trizio, divulgatore storico di 'Scripta Manent'. "Fu una sorta di rivincita sulla Storia e di rivalsa sull'imperatore che li aveva sconfitti", osserva, "oggi il senso del monumento per la comunità ebraica sembra essere diametralmente opposto: un luogo di orgoglio e di unità per tutti gli ebrei della nostra nazione".
Il giorno dell'arrivo di Tito a Gerusalemme è tuttora ricordato nella tradizione ebraica con il giorno di lutto e digiuno denominato 'Tisha BeAv'. La svolta avvenne il 2 dicembre 1947, quando il rabbino capo di Roma, Rav Prato, diede appuntamento alla sua comunità sotto quell'arco per celebrare la Risoluzione 181 dell'Onu che sanciva la nascita del futuro Stato d'Israele. Ora sotto l'Arco avviene persino l'accensione dei lumi per la festa di Hanukkah: "Gli appartenenti alla comunità ebraica traghettarono quel simbolo di disfatta verso un emblema di vittoria, di agognato e infine raggiunto riconoscimento", spiega Trizio.
"La scelta del Foglio di riunirsi in una manifestazione sotto l’arco di Tito a sostegno di Israele, qui nella capitale, è stata fortemente simbolica", conferma all'AGI Ruben Della Rocca, consigliere Unione comunità ebraiche italiane, "nel luogo dove gli ebrei, deportati come schiavi dalla Giudea a Roma, venivano fatti passare umiliati e vessati nel 70 d.c. è avvenuto il riscatto del popolo ebraico: ritrovarsi lì, in quel sito che evoca tristi memorie, a sostenere fieri e a testa alta lo Stato di Israele e i nostri fratelli e sorelle in guerra contro il terrorismo sanguinario e barbaro di Hamas".
"La distruzione di Gerusalemme e soprattutto del Tempio", ricorda Trizio, "ha rappresentato un punto di svolta epocale per l'intera religione giudaica, che dovette reinventare la propria concezione, avendo perso il luogo simbolo dove si riteneva risiedesse il proprio Dio". "Tecnicamente", annota il fondatore di 'Scripta manent', "la campagna militare per reprimere la rivolta in Giudea era stata affidata al futuro imperatore Vespasiano, il quale però, dopo la morte di Nerone e lo scoppio della guerra civile, nell'anno dei quattro imperatori, dedicò tutte le sue energie per conquistare la porpora imperiale".
Così il figlio, Tito Flavio Vespasiano, rimase al comando supremo delle operazioni militari in terra di Giudea e guidò i legionari nei sette mesi necessari ad assediare Gerusalemme, devastarne le difese, combattere ferocemente per le strade e distruggerne il tempio, che andò irrimediabilmente a fuoco durante i combattimenti. Fu poi il fratello di Tito, Domiziano, a far erigere l'arco in suo onore sulla sommità della Via Sacra.
"Bisogna notare che tutte le fonti antiche, soprattutto Giuseppe Flavio, ci riferiscono che Tito non si comportò in maniera spietata", sottolinea Trizio, "anzi, cercò più volte una mediazione e aprì delle trattative con i ribelli giudei asserragliati i quali, pur divisi tra fazioni interne, trovarono una nuova unità contro l'invasore romano e non accettarono nemmeno lontanamente l'idea di potersi arrendere".
Giuseppe Flavio, prima catturato dai Romani e poi passato dalla loro parte come cronista di quella guerra, fu testimone oculare del trionfo di Tito a Roma nel 70 d.C., ed è proprio lui a confermarci l'esibizione del candelabro a sette braccia poi scolpito sull'Arco, la cosiddetta Menorah, come principale trofeo di guerra. "Il trionfo fu magnifico: prima sfilarono i legionari, poi una serie di ebrei incatenati e sottomessi e poi una serie di rievocatori che ricostruirono le fasi salienti dell'assedio", rievoca il divulgatore storico, "per secoli, gli ebrei hanno evitato deliberatamente di passare sotto o anche solo nei pressi dell'arco di Tito, che rappresentava la memoria di una loro dolorosa disfatta".