AGI - L’omaggio più sincero e più emblematico allo scrittore praghese Jaroslav Hašek (1883 – 1923), e pure più in sintonia col suo carattere irriverente e disincantato, lo ha compiuto un ignoto visitatore alla sua tomba di Lipnice, a cento anni dalla morte: invece del consueto mazzo di fiori, sulla lapide è stato deposto un boccale di birra. Pieno.
Una sintesi perfetta della sua vita sregolata, controcorrente, anticonformista con gli altri e con se stesso, eppure capace di regalare alla letteratura quel capolavoro de «Il buon soldato Švejk», tradotto in decine e decine di lingue e divenuto manifesto dell’antimilitarismo, e una serie di racconti strepitosi. Hašek, prima ancora che scrittore e giornalista, era un personaggio, quasi una maschera letteraria. Della letteratura non riconosceva né stili né correnti, tranne il suo ovviamente, e neppure l’aura di arte perché per lui era un mestiere. Rispetto al serioso coetaneo e concittadino Franz Kafka, che nella sua opera indagava l’animo umano e le contraddizioni della modernità aggirandosi e rimanendo avviluppato nei meandri della burocrazia senza volto, lui il mondo l’irrideva stravolgendone le regole e le convenzioni e mostrandone il volto più sarcastico.
Più popolare di Kafka, perché incarna lo spirito umoristico ceco e perché ha scritto in ceco e non in tedesco, non significa più importante nella scala dell’universalità, ma sicuramente più genuino e meno mediato. Se non ci fosse, un tipo così, bisognerebbe inventarlo. Scriveva su un giornale di destra e poi polemizzava con se stesso su un giornale di sinistra usando uno pseudonimo; dirigeva una rivista sul mondo degli animali e ne venne cacciato quando si scoprì che si inventava nuove specie spacciate per scoperte rivelatorie, stilando persino un bestiario, infischiandosene delle lettere di protesta della comunità scientifica e di semplici lettori; fece il diavolo a quattro pur di sposare nel 1910 l’amatissima Jarmila Mayerová (i genitori non volevano che andasse in moglie a uno che era passato dal commercio dei cani alla professione di giornalista e scrittore, anarchico più volte arrestato) che lo lasciò quando Hašek simulò la propria morte e in seguito finì bigamo per aver impalmato in Russia Aleksandra L'vova; fondò con l’amico e celebre illustratore Josef Lada il Partito del progresso moderati nei limiti della legge, manifesto irridente di lealismo agli Asburgo, e si presentò alle elezioni prendendo solo ridicoli spiccioli di voti.
La sua vita fu un romanzo con venature di incredibile, dalla Mitteleuropa alla Russia bolscevica e fino alla lontana Siberia, dirigendo riviste in lingua russa, tedesca, ungherese e mongola, finché decise di sganciarsi dal partito bolscevico e tornarsene nel 1919 a Praga, poco prima di intraprendere l’ennesima avventura di una pubblicazione in cinese. Il suo luogo di creatività era la taverna, dove nessun rumore lo distraeva dalla scrittura, accompagnata da continui boccali di birra.
Nella sua città natale si aspettava tutt’altra accoglienza, ma era ritenuto bigamo e traditore della causa nazionale cecoslovacca, e nonostante avesse già iniziato nel 1912 il ciclo di Švejk , che intendeva terminare, faticava a trovare un editore. Si trasferì allora nella piccola Lipnice continuando a condurre la sua vita dissoluta. Nei suoi racconti (circa 1.500) mette peraltro alla berlina Gabriele d’Annunzio, disegna come un pastore abruzzese può diventare in Italia presidente del Consiglio, descrive la realtà con le lenti deformanti dell’umorismo e della satira senza riguardo per niente e nessuno.
Ben presto inizia a soffrire di varie patologie, è gonfio per l'abuso di alcool e obeso, non riesce a scrivere se non dettando quello che la sua mente fertile partorisce nonostante tutto, finché una tubercolosi contratta durante il servizio militare lo strappa alla vita nel 1923, a quaranta anni. L’anno dopo la stessa sorte e per la stessa malattia si porterà via Franz Kafka. «Il buon soldato Švejk», pur lasciato incompiuto, eternato dai mirabili e inconfondibili disegni di Lada ha conquistato il mondo.