AGI - Un anno fa l'Iran precipitava in una spirale di proteste di massa in seguito alla morte di Mahsa Amini una ragazza di soli 22 anni uccisa dalla polizia religiosa iraniana. La giovane era stata fermata per non aver indossato il velo in maniera appropriata. Una morte che ha scatenato imponenti manifestazioni andate avanti per mesi mettendo a nudo le profonde crepe della società iraniana. Se all'inizio le manifestazioni e le marce avevano come principale obiettivo la legge che rende obbligatorio l'utilizzo del velo per le donne, è evidente che la protesta sia poi evoluta, fino a mettere in discussione le basi della Repubblica Islamica sorta dopo la rivoluzione del 1979.
Il sostegno dei movimenti riformisti alle proteste di piazza ha creato una crepa istituzionale e un dibattito che ruota attorno non solo all'abolizione dell'obbligo di indossare il velo, ma anche all'eliminazione del Consiglio dei Guardiani dall'architettura istituzionale iraniana. Si tratta di un'istituzione i cui membri sono nominati direttamente dalla Guida Suprema Ali Khamenei e hanno il potere di veto sulle candidature presentate in occasione delle elezioni.
Il raggio d'azione e l'influenza del Consiglio dei Guardiani sono ritenuti uno dei principali ostacoli allo svolgimento di elezioni democratiche in Iran. Non si tratta tuttavia dell'unico caso, peraltro recente, in cui la società iraniana si è ritrovata faccia a faccia con le proprie spaccature e contraddizioni.
Le proteste degli anni passati
Nel 2009 enormi proteste di massa seguirono una tornata elettorale a dir poco contestata. La vittoria del candidato conservatore Mahmoud Ahmadinejad fu messa in dubbio proprio dai candidati riformisti Mehdi Karroubi e Mir Hosein Mousavi. Sebbene la protesta del 2009 ebbe una portata e durata minore rispetto a quanto avvenuto un anno fa, la violenta repressione messa in atto da pasdaran e basiji (milizie legate al regime ndr) anche allora crearono spaccature all'interno del circolo di potere di Khamenei. Fratture mai sanate e che sono riemerse dopo la morte di Mahsa Amini, ma con una differenza: stavolta a differenza del 2009 il dibattito politico non si è placato, anzi.
Nei movimenti politici conservatori dell'Iran si sono fatte strada diverse correnti e la discussione sul come affrontare le aspettative della popolazione continua. Resiste una linea dura, contraria all'idea di riformare l'approccio della Repubblica Islamica alla sfera privata della popolazione. Si è tuttavia fatta strada una fetta di conservatori che riconosce la necessità di riformare e rendere più flessibile il sistema. Hanno fatto scalpore le dichiarazioni del ministro del Turismo, Ezzatollah Zarghami, secondo cui alle donne deve essere concesso di apparire in pubblico senza velo.
Crescono i dubbi anche tra i conservatori
La morte di Mahsa Amini ha diffuso un sentimento di ingiustizia tra la popolazione e paura tra le donne, oltre a un senso di sfiducia nei confronti dell'estabilishment al potere. Il già citato riformatore Mousavi è uscito allo scoperto e lanciato un appello ad effettuare riforme direttamente dagli arresti domiciliari cui è costretto da circa 10 anni. Allo stesso tempo, una popolazione giovane come quella iraniana (27 anni di età media, ndr) ha trovato ispirazione e coraggio per trasformare la disillusione in rabbia, riversarsi in strada, sfidare il regime e chiedere un cambiamento.
La forza mostrata dal movimento di protesta durante le manifestazioni ha ammorbidito anche i Guardiani della Rivoluzione, i famigerati pasdaran, tra i quali non mancano voci favorevoli a rivedere un sistema ormai desueto. In base a quanto riportava all'inizio del 2022 il sito di notizie iraniane Omid, anche il generale Qasem Soleimani, ucciso da un drone americano a gennaio 2020 e considerato un eroe in Iran, avrebbe chiesto la fine dei domiciliari di Mousavi e di allentare la pressione e il controllo sulla popolazione. Ancora una volta emerge il quadro di una Repubblica Islamica frammentata e ben lontana dall'immagine monolitica che le manifestazioni ufficiali tendono a generare. Un dibattito che esiste ed è vivo, ma si scontra con l'intransigenza della Guida Suprema ayatollah Ali Khamenei.
La linea rossa di Khamenei
Quest'ultimo, secondo il quotidiano conservatore Kayhan, non avrebbe alcuna intenzione di riformare la Repubblica Islamica. Secondo i giornalisti vicini al vertice del potere iraniano la Guida Suprema non ha intenzione di fare passi indietro nè sull'obbligo del velo nè sul ruolo del Consiglio dei Guardiani. Per Khamenei questi due, insieme alla linea dura nei confronti degli Stati Uniti e alla detenzione ai domiciliari di Mousavi e Karroubi, sono argomenti che costituiscono una linea rossa invalicabile.
Il leader sciita però ancora una volta mostra di non avere chiaro il quadro della situazione. Dopo la morte di Mahsa Amini la polizia morale è sparita dalle strade per mesi ed è ricomparsa solo per compiere sporadiche apparizioni. Sempre più donne, specie nelle università, sono comparse nelle strade delle grandi città libere dal velo, senza che nessuno intervenisse per applicare sanzioni. Cambiamenti di fatto nella società che hanno scatenato proteste da parte di gruppi conservatori, ma che non sembra abbiano incontrato fino ad ora nè la reazione dei pasdaran, nè della magistratura. Un dato significativo, se si considera che diversi esponenti dei pasdaran hanno assunto cariche all'interno del governo del presidente in carica Ebrahim Raisi.
A un anno dalla morte di Mahsa Amini il dibattito tra la linea dura fedele a Khamenei e una frangia di conservatori che chiede riforme è in corso e un processo di cambiamento è comunque avviato. Una spaccatura latente e insanabile che esiste a prescindere dalle probabili proteste e manifestazioni che avranno luogo a partire da domani. Il prossimo punto di rottura potrebbe essere rappresentato da un nuovo e più restrittivo disegno di legge sull'obbligo per le donne di indossare il velo, il cui testo è atteso in Parlamento per l'approvazione. Un avvenimento di per se sufficiente a risvegliare lo sdegno per la morte di Mahsa Amini e mettere spalle al muro un sistema di potere ormai costretto a fare i conti con la richiesta di libertà dei propri cittadini.