AGI - La Corte europea dei diritti umani ha stabilito che l'Italia ha violato i diritti di una bambina, nata nel 2019 da maternità surrogata in Ucraina, impedendone il riconoscimento legale da parte del padre biologico. Allo stesso tempo, i giudici di Strasburgo hanno riconosciuto che non c'e' stata nessuna violazione per quanto riguarda l'instaurazione di un rapporto legale genitori-figli tra la ricorrente e la madre intenzionale, possibile attraverso l'adozione.
Il rifiuto delle autorità italiane di trascrivere l'atto di nascita della bimba, che oggi ha quattro anni, l'ha resa apolide. "La Corte ha quindi ritenuto che le autorità italiane non abbiano adempiuto al loro obbligo positivo di garantire il diritto della ricorrente al rispetto della sua vita privata ai sensi della Convenzione", si legge nella sentenza.
Quanto alla madre intenzionale, pur non permettendo la registrazione dell'atto di nascita, la legge italiana "le ha tuttavia offerto la possibilità di agire legalmente per riconoscere la bambina mediante adozione. La Corte ha pertanto ritenuto che non fosse generalmente e assolutamente impossibile avere un rapporto riconosciuto genitore-figlio tra il richiedente e la madre intenzionale.
Non vi è stata quindi alcuna violazione dell'articolo 8 della Convenzione a questo riguardo", ha concluso la corte, condannando l'Italia a pagare 15mila euro di danni e 9.536 euro per le spese legali.