AGI - Dopo quasi vent'anni dall'approvazione della legge che tiene tutti i simboli religiosi fuori dalle scuole francesi, la Francia allunga l'elenco degli indumenti 'non graditi' nelle aule: sia perché 'umilianti' per le donne che li devono indossare, sia perché non rispettosi della laicità, un principio cardine della scuola pubblica francese che risale alle famose leggi di Jules Fery del 1881.
I VARI TIPI DI VELO ISLAMICO - FOTO
La legge n.28 del 15 marzo 2004 sull'applicazione del principio di laicità nelle scuole pubbliche era stata preceduta da un acceso dibattito nazionale poiché vietava in tutti gli istituti "segni o abbigliamenti attraverso i quali gli alunni manifestino palesemente un'appartenenza religiosa".
Anche quella, tuttavia, non era riuscita a mettere a tacere scontri e polemiche. Fu seguita, infatti, dal fiorire di istituti privati 'confessionali' (in un Paese che aveva fatto dell'istruzione pubblica, gratuita e laica un pilastro della propria democrazia) da una parte, e dall'altra dalla presentazione all'Assemblee Nationale di una proposta per disincentivare l'utilizzo del burqa o del niqab in territorio francese.
Dopo aver definito il Burka un "segno di asservimento della donna", l'allora inquilino dell'Eliseo Sarkozy liquidò la questione dicendo che ne' l'uno ne' l'altro erano più "benvenuti nella Repubblique".
Poco dopo, nel 2010, un nuovo provvedimento legislativo, introdusse il divieto d'indossare gli indumenti tradizionali che coprono l'intera figura (impedendo l'identificazione della persona) in luoghi pubblici come strade, parchi, mezzi di trasporto e, soprattutto, edifici amministrativi.
Infine, più recentemente, è arrivato nel 2019 il divieto per le atlete islamiche d'indossare l'hijab (il velo) nelle competizioni atletiche francesi. Una decisione adottata a maggioranza risicata ma che, ancora una volta, ha acceso il riflettori su un Paese che, anche in campo di gioco, non rinuncia ai principi repubblicani. Perché allora rischiare di dare fuoco alle polveri se la Francia - Paese risolutamente laico ma con una delle più numerose comunità islamiche d'Europa (secondo le stime, almeno 6 milioni i mussulmani) - ha già disciplinato la questione?
Per il responsabile all'Istruzione francese, Gabriel Attal, l'istituzione scolastica, nonostante le leggi, in questi anni "è stata messa a dura prova" e ora - ha chiarito - "è giunto il momento di fare blocco contro l'attacco politico" ed essere chiari: "non c'è posto per l'abaya nelle nostre scuole".
Le nuove regole che accompagneranno la 'rentree' scolastica degli alunni francesi chiariranno insomma, una volta per tutte, che anche le vesti tradizionali islamiche sono assimilabili a quei "segni religiosi" che erano già stati vietati nel 2004, chiarificando un provvedimento che finora era soggetto a diverse interpretazioni (e spesso violato).
Il portavoce del Governo, Olivier Veran, ha spiegato a Bfmtv che l'abaya è un "abito chiaramente religioso" ma che Parigi l'aveva finora tollerato. Tuttavia, ha tagliato corto Veran, "non si va a scuola per fare proselitismo religioso ma per imparare". Nuove dichiarazioni che, anche secondo il leader della sinistra francese, Jean-Luc Melenchon, serviranno solo a "polarizzare ulteriormente lo scontro politico e dare il via a un'assurda guerra di religione", ha dichiarato sul suo conto X (ex Twitter).
Tristesse de voir la rentrée scolaire politiquement polarisée par une nouvelle absurde guerre de religion entièrement artificielle à propos d'un habit féminin. À quand la paix civile et la vraie laïcité qui unit au lieu d'exaspérer ?
— Jean-Luc Mélenchon (@JLMelenchon) August 28, 2023
Intanto sul ministro Attal e sul governo Borne tornano a piovere accuse di islamofobia da alcune frange della sinistra, da parte del mondo accademico e religioso. L'abaya molto diffusa nel Maghreb e nei Paesi del Golfo - hanno spiegato alcuni studiosi intervenuti sui canali Tv francesi in queste ore - non è un indumento direttamente legato al culto musulmano, ma "a una cultura". Il dibattito insomma è, ancora una volta, solo all'inizio.