AGI - Milano, 11 ago. - Susan John, 43 anni, nigeriana, detenuta con fine pena 2030, madre, si è lasciata morire di fame e di sete nel carcere di Torino. La sua forza vitale si è affievolita piano piano in una delle due camere del reparto ATSM, acronimo che sta per 'Articolazione tutela salute mentale' ma che per tanti conoscitori delle prigioni significa ‘piccolo manicomio’. Sono 247, secondo l’ultimo rapporto di ‘Antigone’, le persone in Italia a essere ospitate in questi contesti per ‘contenere’ il loro disagio pschico. Poche ore dopo, una reclusa di 28 anni si è impiccata sempre al Lorusso-Cotugno.
"Diceva no a tutto"
E' stata una poliziotta penitenziaria a trovare Susan John accasciata nel bagno intorno alle tre della notte scorsa. Ha chiesto aiuto, hanno provato a rianimarla. Quale sia stata la causa precisa della sua fine lo stabilirà l’autopsia disposta dalla Procura, c’è chi parla di ‘infezione’ intervenuta su un corpo già mortificato dal digiuno e dalla disidratazione. Appare certo che questa donna in buona salute fisica a un certo punto, dopo il suo arrivo al Lorusso-Cotugno una ventina di giorni fa, ha cominnciato a dire no a tutto. No al cibo, no all’acqua, no agli integratori, no a un ricovero in ospedale. Parlava giusto per chiedere quando il suo compagno, operaio impegnato coi turni in fabbrica, sarebbe andato a visitarla.
Le telefonate all'avvocato
Il 6 luglio è stato il suo ultimo giorno di libertà quando i giudici della Cassazione l’hanno condannata al carcere nell’ambito di un’inchiesta sullo sfruttamento della prostituzione. “Non rivendicava nulla, non protestava per avere qualcosa” racconta all'AGI l’avvocato Wilmer Perga, uno che in decenni di professione ne ha viste tante ma non esita a definire “incredibile” questa vicenda. E proprio la mancata rivendicazione di uno sciopero della fame potrebbe averla portata alla morte perché non si sarebbbe attivato il controllo dei parametri vitali che si fa nel caso di sciopero dichiarato. Ma che il suo fosse un caso degno di attenzione era noto. I medicini la visitavano, le videocamere riprendevano la sua quotidianetà sempre più assorta. “Una settimana fa mi ha chiamato un'ispettrice della polizia giudiziaria per dirmi che era preoccupata perché non mangiava - spiega Perga -. Due giorni fa è arrivata la chiamata della direttrice del carcere che mi manifestava la sua preoccupazione per il prolungato digiuno".
Secondo l'esperto avvocato torinese, "la mia assistita andava curata. Non stava facendo una battaglia 'politica', semplicemente non mangiava né beveva e quindi andava considerata come una malata da curare. Ricordiamo che Cospito, a un certo punto del suo sciopero, venne ricoverato".
"Perché non è stata ricoverata?"
La donna peraltro era in un reparto destinato a detenuti con problemi psichiatrici. "Questo io non lo sapevo - prosegue Perga - quindi si sarebbe potuto pensare anche a un tso. Perché non è stata ricoverata? Perché non è stata fatta almeno un'iniezione? Mi sembra incredibile...Eppure ho apprezzato l'interessamento, molto raro in questi casi, della direttrice che mi ha telefonato”. “Né il garante nazionale, né quello di Torino né io avevamo intercettato questa vicenda - dice Bruno Mellano, garante del Piemone -. Il 4 agosto ero in carcere ho parlato con la direzione, gli operatori dell'istituto e parecchie donne detenute che, di solito, sono le nostre `sentinelle´ e tra loro hanno un atteggiamento accudente. Nessuno ci ha segnalato il caso”.
“Susan John “era un’'invisibile”: il 'titolo' perfetto di questa storia è di Monica Gallo, garante di Torino.