AGI - La dicotomia democrazia-occupazione, finora affrontata dagli israeliani con grande riluttanza, si scontra con una nuova realtà: con l'operazione militare israeliana a Jenin e le proteste di piazza in Israele contro il progetto di riforma della giustizia promosso dal governo, i temi della questione palestinese e della tutela della democrazia israeliana, che finora avevano viaggiato paralleli ma separati, non lo sono più.
Questa l'analisi all'AGI di Ugo Tramballi, editorialista de Il Sole 24 Ore e analista per l'Istituto per gli studi di politica internazionale (Ispi), guardando agli ultimi avvenimenti in Medio Oriente.
"C'è una dicotomia tra la rivendicazione di un livello democratico alto, con la difesa dell'autonomia e dell'indipendenza del potere giudiziario, e l'occupazione. Gli israeliani l'hanno sempre affrontata con grande riluttanza, invece queste due storie si stanno sempre più avvicinando: non puoi avere la democrazia e poi accettare che occupi i territori degli altri", spiega. "Era paradossale ieri il blocco dell'aeroporto di Ben Gurion da parte dei manifestanti anti-riforma, a 70 km di distanza da Jenin dove era in corso un'operazione cosi' massiccia".
Una dicotomia democrazia-occupazione che ha trovato una sua espressione 'fisica' la settimana scorsa a una delle proteste contro il progetto di giustizia del governo, quando "un gruppo di manifestanti, riservisti, è venuto allo scontro con un altro gruppo che invece sottolineava come non può esistere la democrazia se continua l'occupazione".
"Se la questione palestinese fosse stata, e continuasse a essere posta, durante le grandi manifestazioni, la folla che abbiamo visto in queste 27 settimane non ci sarebbe stata, un buon 40% di israeliani non avrebbe aderito", sottolinea l'analista.
"L'operazione a Jenin dell'esercito non è risolutiva, tra 15 giorni ce ne sarà un'altra, non c'e' una via d'uscita perché non c'e' all'orizzonte una soluzione politica", continua Tramballi.
"Indubbiamente se c'è una speranza che in qualche modo si riapra l'orizzonte diplomatico per la questione palestinese, è che questo governo israeliano ultra nazionalista e religioso cada, e tornino i predecessori. Non che loro fossero entusiasticamente a favore di uno Stato palestinese, ma Yair Lapid come premier e' stato un pragmatico, soprattutto con la Striscia di Gaza".