AGI - L'operazione dell'esercito israeliano a Jenin, storicamente uno dei fulcri della resistenza palestinese, "non può funzionare perché manca qualsiasi orizzonte politico per una reale risoluzione dell'occupazione israeliana, che è l'unica maniera per disinnescare la lotta armata". Il risultato sarà solo quello di "aumentare la spirale di violenza. Non esistono soluzioni militari alla resistenza palestinese".
Ne è convinto Andrea Dessì, responsabile di ricerca del programma Mediterraneo, Medio Oriente e Africa dell'Istituto Affari Internazionali (Iai), intervistato dall'AGI sull'evolversi dell'intervento militare nella città del nord della Cisgiordania.
L'emergere di nuovi gruppi armati palestinesi, piccoli e indipendenti ma con capacità di addestramento e conoscenze tecnologiche (come la 'Fossa dei Leoni' di Nablus, che negli ultimi tempi è salito alla ribalta delle cronache), sono da un lato una reazione all'occupazione e il continuo aumentare delle azioni militari israeliani, particolarmente ora con il governo più estremista nella storia d'Israele, e dall'altra sono il risultato della disillusione palestinese nei confronti dell'Autorità nazionale, accusata di corruzione e cooperazione con l'esercito israeliano.
Tutto questo spinge verso una spirale di violenza senza soluzione. "C'è' una seria preoccupazione per ulteriori escalation", sottolinea l'analista, ricordando come "negli ultimi mesi c'è stato un aumento costante dei raid militari israeliani nelle città palestinesi in cui operano questi gruppi armati, con distruzione di infrastrutture, spesso anche morti tra civili, e questo aumenta il ciclo di violenza".
"Mandare l'esercito non può dare risultati, perché qual è l'obiettivo? Semplicemente di arrestare o eliminare ogni singolo individuo di questi gruppi. La speranza per Israele era di mantenere a bada i gruppi eliminando i personaggi più esposti. Con questa politica si è arrivati all'operazione militare a Jenin, un'operazione come non si vedeva da quasi 20 anni", aggiunge Dessì, ricordando lo storico assedio alla città durante la Seconda Intifada quando venne quasi completamente distrutta.
Ma, prosegue, "provare a combattere la resistenza palestinese con le forze armate non può funzionare perché ogni volta che si eliminano esponenti, creando martiri, si ottengono ulteriori adesioni e si dà loro una pubblicità molto importante". A pesare è "il fallimento del processo di pace e la completa assenza di un orizzonte politico, di una prospettiva che possa dare sollievo e speranza". "Con l'ulteriore escalation israeliana, supportata dall'uso di tecnologie avanzate più distruttive, inclusi i droni armati e l'uso di elicotteri d'attacco, si alza l'asticella, si approfondisce il ciclo di violenze e ci si distanzia ulteriormente da qualsiasi orizzonte politico, che è l'unica maniera per disinnescare la lotta armata".
Tuttavia, sottolinea l'analista dello Iai, in questa situazione "nessuno sembra in grado, o realmente interessato, a spingere sulla dimensione politica, né le parti in causa né tanto meno la comunità internazionale. Si cerca di sostituire questo tassello politico con quello economico, ma non si parla mai di diritto all'autodeterminazione. E fino a quando non si darà una risposta reale, la resistenza continuerà ad attrarre individui pronti ad abbracciare la lotta armata per avvicinarsi all'indipendenza".
Un contesto in cui si inserisce anche la dimensione interna di Israele, scosso da oltre sei mesi da vaste manifestazioni di piazza contro il progetto di riforma della giustizia promosso dal governo che punta a modificare l'equilibrio tra i poteri a favore di quello politico. "Non credo che (l'operazione a Jenin) sia una strategia del premier Benjamin Netanyahu per distogliere l'attenzione dalle sue questioni legali o dalle proteste", afferma Dessì.
"C'era bisogno di fare qualcosa" per rispondere all'emergere di questi nuovi gruppi armati palestinesi, "bisognava dare un contentino" agli alleati ultra nazionalisti del governo. "Ma dubito che questo porterà risultati concreti. Anzi. Come vediamo invece si va in direzione opposta: più morti, più violenza, più escalation. Questo potrebbe giovare ai partiti politici di estrema destra nazionalista in Israele, ma a lungo andare comprometterà i rapporti tra Israele e i suoi principali alleati in Europa e negli Usa, e questo non aiuterà Israele."