AGI - È in corso una guerra a Port-au-Prince, capitale e anche città più popolosa di Haiti. Che rischia di far deragliare lo Stato che al momento non ha nessuno che lo guidi perché, al contrario, la capitale è in mano a bande criminali rivali che ogni giorno portano a termine “almeno diciotto cruenti episodi di violenza”, come scrive il Paìs di Madrid
Fronti diversi, gruppi eterogenei che si combattono tra loro, in una guerra selvaggia, apparentemente non dichiarata, ma vera, con donne e ragazze stuprate, persone uccise a migliaia. Sarebbero ben 92 le bande criminali che si fronteggiano nella capitale. Ma c’è anche chi ne ha contate 200. Bande di strada, tant’è che lo Stato non è in grado di assicurare i servizi essenziali, infatti il sistema sanitario è collassato e la sicurezza non è in alcun modo garantita dai pochissimi agenti di polizia presenti e atterriti, lasciando così campo libero alle gang, scrivono i media internazionali.
E nessuno, nell’ambito della comunità internazionale sembra disponibile a fare il primo passo per aiutare gli haitiani a risollevarsi ed evitare che il paese soccomba nel sangue. Tutti i diritti fondamentali sono lesi e più della metà della popolazione è in condizione di insicurezza alimentare, mentre solo l’1% della popolazione è già vaccinata contro il Covid-19 e circa un terzo della popolazione non ha accesso ad acqua potabile, le scuole sono chiuse, scriveva lo scorso 10 giugno Human Right Watch, organizzazione non governativa internazionale che si occupa della difesa dei diritti umani con sede a NewYork. Crisi oltreché di ordine pubblico e sicurezza, prima di tutto umanitaria e anche politica.
Quest’ultima è piuttosto critica dopo l’assassinio del Presidente Jovenel Moïse nel 2021. Il primo ministro Ariel Henry ha assunto di fatto l’incarico, ma a gennaio di quest’anno Haiti “ha perso l’ultima parvenza di “rappresentatività democratica” quando è scaduto il mandato dei suoi senatori. Non eletto democraticamente e fortemente criticato dalla popolazione, il primo ministro ha creato “un consiglio costituito da tre persone espressione della società civile, dei partiti politici e del settore privato”, che detiene il compito di rendere il Paese abbastanza sicuro in modo “da poter svolgere elezioni democratiche, riformare la costituzione e attuare riforme economiche”, scrive il sito Orizzonti politici, think tank giovanile italiano impegnato nell’analisi di politica internazionale.
La rappresentazione di questa situazione confusa, conflittuale, di totale abbandono e assoluta anarchia la sia ha quando si scende all'aeroporto di Port-au-Prince, dichiarano molti osservatori, perché si resta quasi choccati da ciò che si presenta davanti ai propri occhi: un solo aereo in tutto il terminal, corridoi vuoti e bui, un doganiere che timbra svogliatamente e silenziosamente il passaporto e l'incertezza dovuta allo stato di illegalità che inizia la dove finisce termina l'aeroporto. Fuori lo Stato non esiste.