AGI - Due elezioni generali nel solo 2019, un governo di minoranza appeso agli indipendentisti, partiti massimalisti che rubano la scena (ma sempre meno i voti) alla destra e alla sinistra istituzionali. E, non ultima, la difficile normalizzazione dei rapporti con Barcellona dopo la tentata secessione del 2017. La Spagna negli ultimi anni ha mostrato un quadro politico instabile e frammentario, un freno per le ambizioni del premier socialista Pedro Sanchez, che ha cercato di dare al Paese una statura internazionale di maggiore peso.
Il voto amministrativo di domenica 28 giugno - in 12 regioni su 17 e in tutti gli oltre 8 mila comuni - potrebbe rivelarsi però la prima avvisaglia di un riavvicinamento al bipolarismo, dopo un decennio che aveva visto il tradizionale dualismo tra Popolari e Socialisti scompaginato dall'ingresso nell'arena di ben tre formazioni di matrice populista, figlie della crisi dell'Eurozona e del suo duro impatto sulla penisola iberica. Da una parte i nazionalisti di Vox, ultraconservatori e non immuni a simpatie franchiste. All'opposto Podemos, erede del movimento degli Indignados, che esordì nel 2015 con un risultato sopra il 20%. E al centro Ciudadanos, di ispirazione moderata e liberale. Governare con loro apparve da subito un problema. Governare senza di loro si sarebbe rivelato impossibile dopo la caduta, nel 2018, dell'esecutivo monocolore di Mariano Rajoy (PP), travolto da un'ondata di scandali.
I Popolari sulle montagne russe
Dal voto di aprile 2019 non emerse una maggioranza chiara. I Popolari erano precipitato sotto il 17% e Ciudadanos, contrario a un accordo con la sinistra, aveva preso una percentuale quasi analoga. Intorno a Vox, entrato alle Cortes con il 10%, c'era però ancora un cordone sanitario. A novembre si tornò alle urne. Ciudadanos crollò, Vox crebbe ancora. L'unica possibilità era un'intesa tra il PSOE e la coalizione di sinistra radicale Unidas Podemos che, grazie al vitale appoggio esterno dei nazionalisti baschi e catalani, è riuscita finora a reggere nonostante i difficili rapporti tra i due alleati.
Il bilancio dell'esperienza è evidente dai sondaggi. Unidas Podemos, abbandonato dal carismatico fondatore Pablo Iglesias, è entrato in una crisi di identità ed è stimato sotto il 10% da quasi tutti gli osservatori, anche per via della concorrenza di Sumar, formazione di sinistra al debutto guidata dalla vicepremier e ministro del Lavoro Yolanda Diaz, già coordinatrice del ramo galiziano dei comunisti di Izquierda Unida. I tentativi di un'alleanza elettorale non sono andati a buon fine e Sumar ha scippato a Podemos partner di un certo peso come Màs Paìs, i Verdi ed En Comù Podem, la lista della sindaca di Barcellona Ada Colau, in corsa per un terzo mandato.
Il PSOE invece è dato stabile o in crescita, comunque intorno al 30%. Sanchez può vantare buoni risultati in economia e una parziale pacificazione con la Catalogna. Il primo ministro deve però fare i conti con un PP rinato sotto la guida di Alberto Núñez Feijóo. Archiviata la presidenza Casado, che aveva sofferto la competizione interna con l'agguerrita Isabel Diaz Ayuso, presidente della comunità di Madrid, Feijóo non è solo riuscito a riportare il PP a percentuali competitive ma anche a non rendere più l'abbraccio con Vox una scelta obbligata per tornare alla Moncloa.
Vox e il caso Andalusia
Il partito nazionalista di Santiago Abascal, dalle ultimi rilevazioni, appare infatti ridimensionato: ben piazzato per le politiche di dicembre ma, alle amministrative, con consensi dimezzati rispetto al 15% del picco di novembre 2019. Sono sondaggi, certo, e i sondaggi possono sbagliare. È invece molto più concreto il risultato delle regionali in Andalusia del giugno 2022, che hanno visto il candidato popolare andare al governo della regione più popolosa con il solo appoggio di Ciudadanos, ormai ai minimi termini. Il primo governo regionale di coalizione tra PP e Vox, insediatosi nel marzo 2022 in Castiglia e Leòn, potrebbe quindi restare un caso isolato e non un'anticipazione di scenari nazionali.
Si profila quindi una sfida a due, destinata ad aprire i giochi e mettere le pedine in campo per la resa dei conti di dicembre. Feijóo, con i suoi 61 anni e i suoi toni pacati, appare molto più vicino al vecchio Rajoy che alla litigiosa accoppiata Casado/Ayuso. Da una parte attacca Sanchez con argomenti da conservatore classico, come l'accresciuta pressione fiscale; dall'altra lo accusa di non essere più vera sinistra, di aver allontanato il suo partito dalle classi popolari.
Il premier, da parte sua, gli rimprovera un profilo troppo modesto, non all'altezza del ruolo internazionale che Sanchez ritiene di aver dato alla Spagna. Più concreti, e scivolosi, i temi del cambiamento climatico e dell'utilizzo delle risorse idriche, che rischiano di imporre a chiunque vinca decisioni impopolari.
Dopo l'Andalusia, è meno semplice per i socialisti asserire che votare PP significa automaticamente ritrovarsi un governo con Vox. Nondimeno, Feijóo si è sempre rifiutato di escludere a priori un'alleanza con Abascal, nonostante le sue controverse proposte sull'aborto e le strizzate d'occhio ai nostalgici di Francisco Franco (nel 2020 accusò Sanchez di essere a capo del "peggior governo degli ultimi 80 anni", includendo quindi nel conteggio il "caudillo").
Gli ex terroristi che imbarazzano Sanchez
A rendere meno complicata la posizione del successore di Casado ha provveduto Bildu, il partito indipendentista basco alleato di Sanchez che ha presentato una lista con 44 ex membri dell'Eta colpiti da condanne definitive. Sanchez commentò dalla Casa Bianca, dove si trovava due settimane fa, che "ci sono cose che potrebbero essere legali ma non sono decenti e questa è una di esse". Bildu si limitò a escludere quei sette che erano stati condannati per omicidio, insistendo che gli altri 37 hanno il diritto di correre in una democrazia.
I due leader si sono scambiate queste e altre accuse nel loro recente duello in Senato, nel quale hanno sfoderato un'aggressività che non si supponeva nelle loro corde. A Sanchez conviene lasciar cuocere Podemos nel suo brodo con l'auspicio di governare senza alleati troppo ingombranti. Feijóo invece deve concedere qualcosa a quei media e quei polemisti di destra, innamorati di Ayuso, che saranno pronti a chiedere da subito la sua testa se il risultato del PP tradirà le aspettative. Perché la chiusura delle urne delle amministrative segnerà solo l'inizio di una lunghissima campagna elettorale che si concluderà solo a fine anno.