AGI - Le giovani betulle della foresta di Katyn, in Bielorussia, nascondevano la soluzione al giallo della scomparsa di 22.000 ufficiali polacchi deportati da Stalin dopo l’invasione della Polonia il 17 settembre 1939 e di cui il Governo in esilio a Londra aveva reclamato la liberazione alla fine del 1941. Il Cremlino, infastidito, aveva replicato che se n’erano andati «in Manciuria».
Dov’erano finiti, invece, lo rivelò Radio Berlino il 13 aprile 1943, trasmettendo dalle 15.15 alle 19.15 un bollettino in tedesco, polacco, russo, inglese, francese e persino in italiano, sulla scoperta «in un luogo chiamato Kosogory, nella foresta di Katyn», a una quindicina di chilometri da Smolensk, di «una grande fossa di 28 metri per 16 riempita con dodici strati di cadaveri». Erano i corpi dei primi 4.400 ufficiali uccisi con un colpo alla nuca, secondo le modalità della polizia segreta sovietica, Nkvd.
Sopra a quella fossa erano stati piantati alberi di betulla. La scoperta da parte dei tedeschi, che occupavano quei territori dai tempi dell’Operazione Barbarossa, era stata effettuata seguendo le indicazioni della popolazione civile.
La Tass aveva immediatamente smentito la ricostruzione della propaganda di Goebbels, accusando i nazisti. I polacchi, che nel 1941 reclamavano la riconsegna di 12 generali, 130 colonnelli e 9.227 ufficiali rinchiusi nei campi di Kozelsk, Starobelsk e Ostaškov, adesso volevano la verità su quello sterminio di massa e un’inchiesta della Croce rossa internazionale: gli ufficiali erano tutti diplomati e laureati, ovvero la classe dirigente della Polonia anteguerra decapitata da Stalin per la sovietizzazione di metà del Paese spartito con Hitler attraverso il Patto Ribbentrop-Molotov del 23 agosto 1939. Winston Churchill, allarmato dalla reazione del Cremlino, predica prudenza ma il 26 aprile Mosca rompe le relazioni diplomatiche col governo polacco in esilio che è costretto a una brusca retromarcia imposta proprio dal premier britannico.
Ma il giorno dopo un pool di riconosciuti esperti europei raggiunge Berlino dietro invito del governo tedesco per un’indagine scientifica indipendente sulle fosse di Katyn. Tra di essi c’è l’anatomopatologo Vincenzo Palmieri, un’autentica autorità in materia, cattolico integerrimo (sarà eletto sindaco di Napoli nel 1962 nelle liste della Dc). I professionisti hanno la massima libertà operativa.
Ci sono giornalisti dei Paesi neutrali che osservano i lavori coordinati dalla Croce rossa polacca. Le risultanze delle perizie necroscopiche e ambientali dei 12 esperti sono univoche e unanimi: quei delitti risalgono al massimo alla primavera del 1940, quindi la responsabilità è dei sovietici, poiché i tedeschi sono arrivati solo nel 1941. Nel 1944, riconquistati quei territori, Stalin crea la Commissione Burdenko che ribalta la verità, fa ritrattare gli specialisti dei Paesi finiti sotto l’orbita sovietica e spaccia il crimine come opera dei nazisti.
Il professor Palmieri, che ha ripreso a insegnare all’Università di Napoli, è sottoposto a un linciaggio morale in aula dagli studenti comunisti e sulle colonne dell’Unità. A Norimberga il maldestro tentativo sovietico di imputare l’eccidio di Katyn ai tedeschi fallisce, ma non viene aperto alcun procedimento su quel caso, con l’assurdo di far sparire dal processo un crimine di così grande portata.
A Cracovia il procuratore della Repubblica Roman Martini, che aveva condotto un’inchiesta accertando le responsabilità sovietiche (nonostante fosse di simpatie comuniste), viene ucciso sulla soglia di casa nel marzo 1946. La copia del dossier che era riuscito a far arrivare a un notaio svedese prescrivendo che dovesse essere aperto solo in caso di morte o scomparsa, rispunterà fuori solo nel 1951.
Fino al 1989 il Cremlino negherà sempre qualsiasi coinvolgimento col massacro degli ufficiali polacchi. Nel 1990 Mikhail Gorbacëv riconosce ufficialmente la responsabilità dell’Urss, il presidente Boris Eltsin apre gli archivi e Vladimir Putin riappone il segreto di stato. Ma quel che è accaduto a Katyn non è più un segreto per nessuno.
Il regista Andrezj Wajda nel 2007 realizzò il film «Katyn», candidato agli Oscar, che in Italia è stato visto al cinema quasi da nessuno e trasmesso solo due volte in tv e in orari impossibili. Jakub Wajda, padre del regista, era uno dei 22.000 ufficiali polacchi giustiziato con un colpo alla nuca. Rai Movie propone in palinsesto «Katyn» venerdì 14 aprile alle 23.10.