AGI - I falchi antirussi più risoluti sostengono fin dall'inizio che si sia trattato di un attentato sotto falsa bandiera organizzato dal Cremlino. E fece molto rumore un pezzo uscito l'8 febbraio a firma di Seymour Hersh, veterano del giornalismo d'inchiesta americano, che, sulla base di una fonte anonima coinvolta nell'operazione, accusò la Casa Bianca, da sempre ostile all'infrastruttura il cui raddoppio - se non fosse intervenuto il conflitto in Ucraina - avrebbe rafforzato ulteriormente i legami economici tra Berlino e Mosca. Ora un articolo del New York Times e fonti di intelligence rilanciate dai media tedeschi puntano il dito su una squadra di sabotatori inviata da Kiev, che nega.
Quel che è certo è che una verità ufficiale sul sabotaggio del gasdotto Nord Stream, che connetteva in modo diretto Germania e Russia attraverso il Mar Baltico, manca ancora e non appare prossima a concretizzarsi. Solo oggi la magistratura tedesca, sotto la pressione delle ultime indiscrezioni, ha rivelato di aver perquisito lo scorso gennaio un'imbarcazione che si sospetta possa essere stata utilizzata per trasportare gli esplosivi utilizzati nell'operazione. Nessun altro dettaglio è però stato diffuso.
Il no di Stoccolma a un'inchiesta congiunta
Che un'indagine comune che includesse la Russia non potesse avere luogo, dato il grave deterioramento dei rapporti con l'Occidente seguito all'invasione dell'Ucraina, era scontato. Suscitò invece una certa sorpresa la decisione della Svezia di andare avanti da sola, senza coinvolgere la Danimarca, l'altro Paese le cui acque territoriali erano state interessate dalla falla aperta nel gasdotto lo scorso 26 settembre, e la Germania. Il governo tedesco aveva proposto l'istituzione di un team investigativo congiunto sotto l'egida di Eurojust, Agenzia dell'Unione europea per la cooperazione giudiziaria. Lo scorso 14 ottobre Mats Ljungqvist, il magistrato svedese incaricato dell'inchiesta, rispose che condividerne i risultati avrebbe messo a rischio la sicurezza nazionale di Stoccolma. E a poco valsero le promesse dell'allora premier, Magdalena Andersson, sulla cooperazione con Copenaghen e Berlino.
Tre inchieste di Paesi alleati che procedono per conto loro per far luce su un avvenimento di tale gravità non sono solo una manifestazione di inefficienza e una cattiva pubblicità per un'Ue nella quale gli interessi nazionali appaiono troppo spesso destinati a prevalere. L'episodio è soprattutto la spia di quanto elevato sia il grado di sfiducia tra i membri del blocco nella condivisione di intelligence, campo nel quale la comunità europea è ancora in forte ritardo, rendendo umiliante ogni possibile confronto con i "Five Eyes" dell'Anglosfera.
Lo spettro dell'Nsa
Tanta sfiducia non è tuttavia priva di giustificazioni. Appena lo scorso anno la televisione danese rivelò che i servizi segreti di Copenaghen avevano fornito, nel 2015, sostegno alla National Security Agency statunitense per effettuare attività di spionaggio ai danni di politici di alto profilo in Svezia e Germania, tra cui la stessa ex cancelliera Angela Merkel, che già allora aveva appreso di essere intercettata dall'Nsa grazie alle rivelazioni di Edward Snowden. La vicenda aprì una profonda crepa nei rapporti tra Washington e Berlino, sulla carta alleati ma di fatto rivali strategici. E la candidatura di Stoccolma a membro della Nato potrebbe aver complicato ulteriormente la partita.
Oggi le tensioni con Ankara, dal cui veto dipende l'ingresso nell'alleanza di Svezia e Finlandia, sono tali che l'adesione del Paese nordico appare appesa a un filo. Lo scorso autunno, con il protocollo d'intesa con la Turchia fresco di firma, i giochi apparivano più aperti. Non è quindi da escludere che la Germania temesse un eccessivo allineamento degli svedesi con gli Usa, gli unici a poter garantire un'adeguata protezione in caso di un aumento della presenza russa in quelle acque. D'altro canto, se ora il cancelliere tedesco Olaf Scholz è stato costretto a mostrarsi meno ambiguo nel sostegno a Kiev, la Svezia aveva le sue ragioni nel non voler condividere informazioni sensibili con un Paese il cui leader veniva dipinto dai critici più accesi quasi come una quinta colonna di Putin.
Incroci di spie nel Baltico
Le informazioni da condividere, in teoria, dovrebbero essere tantissime. Il braccio di mare dove è avvenuto il sabotaggio è tra i più monitorati dell'Europa settentrionale. A Nord c'è la costa svedese, a Ovest l'isola danese di Bornholm e a Est l'exclave russa di Kaliningrad, spina nel fianco della Nato. Sono numerosi i sottomarini e le navi militari che attraversano l'area con regolarità. E, secondo il quotidiano svedese Dagens Nyheter, imbarcazioni svedesi erano presenti nella zona del sabotaggio pochi giorni prima dell'esplosione.
Che Stoccolma possa avere in mano qualcosa di più concreto delle altre nazioni coinvolte è più di una mera ipotesi. Questa settimana le autorità svedesi hanno riferito di aver raccolto materiali nei pressi dei tratti di gasdotto danneggiati, dando a intendere che l'inchiesta abbia segnato un qualche progresso. Le indagini sono però tutt'altro che concluse, hanno fatto sapere nei giorni scorsi Svezia, Danimarca e Germania. Il nuovo ministro della Difesa svedese, Pal Johnson, poco dopo l'insediamento del nuovo governo lo scorso ottobre, rilasciò un'intervista a 'Politico' nel quale sottolineò la necessità di una maggiore protezione delle infrastrutture energetiche critiche. Senza una maggiore condivisione di intelligence all'interno dell'Ue, sarà un compito piuttosto difficile.