AGI - Non è certo facile il percorso della Libia verso delle elezioni che dovrebbero favorire un processo di transizione politica, mentre la tensione nel Paese nordafricano è tornata altissima negli ultimi mesi. In guerra dal 2011, la Libia è ancora impantanata in una lotta tra fazioni che non sembra avere fine.
L'impasse politica attuale difficilmente porterà a una transizione democratica senza una deciso contributo da parte di garanti stranieri, il cui intervento al contrario, fino a ora non ha favorito la stabilità del Paese. La necessità di una nuova data per presentarsi alle urne, dopo l'annullamento delle elezioni inizialmente previste il 24 dicembre 2021, sembra mettere d'accordo tutti, libici e Paesi stranieri, e ha trovato nuova linfa nella nomina da parte delle Nazioni Unite di un nuovo inviato speciale per la Libia, il senegalese Aboulaye Bathily.
Lo scorso anno una legge con tanto di data sulle elezioni è stata promulgata dal presidente del Parlamento Libico di Tobruk, Aqilah Saleh, ma è fallita miseramente perché non ha trovato accordo con l'altro parlamento libico, quello della capitale Tripoli. Accordo necessario in base a una legge del 2015 (Skhirat Lybian Political agreement).
È emerso con chiarezza che il principale ostacolo per le elezioni in Libia è rappresentato dalle istituzioni che attualmente controllano le due parti del Paese. La sconfitta del generale Khalifa Haftar nel 2020 sembrava aver segnato l'affermazione del governo con sede a Tripoli, che sostenuto militarmente dalla Turchia e politicamente dalle Nazioni Unite pareva destinato a prendere le mani del Paese a scapito della fazione di Tobruk.
Al contrario, invece che l'affermazione di una fazione su un'altra si è assistito a un rimescolamento delle carte da entrambe le parti in conflitto e all'uscita di scena anche del vincitore Fayez al Sarraj oltre che dello sconfitto Haftar. Sostanzialmente i due uomini che si sono contesi la guida del Paese dopo la caduta di Muammar Gheddafi, Fayez al Serraj per Tripoli e Haftar per Tobruk, sono stati sostituiti dai due nuovi leader delle coalizioni-fazioni, in lotta per il potere: Fathi Bashagha e Abdul Hamid Dbeibah, il primo nominato premier a Tobruk, nell'est del Paese, il secondo primo ministro del governo con sede nella capitale Tripoli.
Si tratta dell'ennesimo atto di una crisi che sembrava sopita con la sconfitta delle truppe fedeli al generale di Tobruk, Haftar, ma che in realtà era avviata verso una nuova fase, aperta dalla decisione di annullare le elezioni previste fine 2021.
Una decisione che ha portato alla nomina di Bashaga come premier del parlamento di Tobruk e alla formazione di un esecutivo che governa l'est del Paese, non riconosciuto dal parlamento di Tripoli e dal governo guidato da Dbeibah.
Il rinvio delle elezioni ha favorito il clima d'incertezza e l'intensificarsi di scontri che hanno raggiunto l'apice lo scorso settembre, quando il conflitto è arrivato nelle strade della capitale Tripoli. Le milizie di Bashaga sono tornate ad assaltare la capitale a inizio settembre, e probabilmente oggi ci troveremmo a descrivere una situazione completamente diversa, se a respingere le milizie di Tobruk non fossero intervenuti ancora una volta i droni turchi.
Lo sguardo della Turchia
Per Ankara è centrale che Tripoli non passi nelle mani della fazione di Tobruk. Un dato confermato dal fatto che la decisiva discesa in campo della Turchia nel teatro di guerra libico, a dicembre 2019, sia stata motivata proprio dalla necessità di difendere la capitale, all'epoca assediata da Haftar.
Da allora Ankara ha assunto un ruolo di primo piano nel Paese e non a caso proprio la Libia ha rappresentato una parte consistente e costante del dialogo tra il governo italiano in carica e il governo turco. Di Libia hanno parlato non solo il presidente turco Recep Tayyip Erdogan e il premier Giorgia Meloni durante il loro primo faccia a faccia al G20 di Bali, ma anche i ministri degli Esteri e degli interni d'Italia e Turchia, incontratisi nel mese di gennaio. Incontri con al centro il tema dell'immigrazione, al termine dei quali è stata sempre sottolineata la convergenza di vedute di Roma e Ankara, che premono entrambe per delle elezioni e una transizione politica che porti stabilità in Libia.