AGI - Il giudice libanese Tarek Bitar, che indaga sulla devastante esplosione che nell'agosto 2020 ha distrutto il porto di Beirut e parte della città, ha incriminato altre otto persone, tra cui il procuratore generale Ghassan Oueidat e altri tre magistrati. Lo ha riferito una fonte giudiziaria, precisando che le accuse nei loro confronti è di "omicidio, incendio doloso e sabotaggio".
L'esplosione al porto di Beirut, avvenuta il 4 agosto 2020, ha provocato la morte di oltre 215 persone e il ferimento di più di 6.500, devastando lo scalo e una parte della capitale libanese. A innescarla è stato un incendio in un magazzino dove incautamente era stoccata da anni una gran quantità di nitrato di ammonio. Secondo l'accusa, Oueidat nel 2019 aveva supervisionato un'indagine dei servizi di sicurezza sulle crepe nel magazzino in cui era conservata la sostanza, solitamente usata come fertilizzante ma anche per produrre esplosivi.
In tutto, sono 13 le persone accusate nell'ambito dell'inchiesta, fortemente ostacolata dai poteri politici che hanno cercato in tutto i modi di insabbiarla, bloccando di fatto per oltre un'anno l'operato di Bitar che proprio ieri ha ripreso in mano il fascicolo. Tra le persone già finite nel mirino della giustizia, ci sono l'ex premier Hassan Diab, l'ex ministro dei Lavori Pubblici, Yousef Fenianos, l'ex ministro delle Finanze Ali Hassan Khalil e l'ex ministro dei Lavori Pubblici Ghazi Zeiter.
Nuovi interrogatori sono stati fissati nella settimana tra il 6 e il 13 febbraio ma Diab ha già rifiutato. Tra i nomi nella lista filtrati ieri anche quelli dell'ex direttore della Sicurezza generale, Abbas Ibrahim, vicino a Hezbollah, e del capo della Sicurezza di Stato, Tony Saliba, alleato dell'ex presidente cristiano maronita Michel Aoun. Bitar è stato duramente attaccato da Hezbollah e dal partito affiliato Amal che lo accusano di essere parziale e ne hanno chiesto l'esonero a più riprese, organizzando anche manifestazioni di protesta.
All'inizio del 2021 il suo predecessore era stato rimosso dopo aver incriminato politici di alto livello; lo stesso Bitar ha dovuto affrontare decine di procedimenti nei suoi confronti e il ministero dell'Interno non ha dato seguito ai mandati di arresto da lui ordinati, ostacolando l'inchiesta. La stampa allineata con il movimento sciita lo ha accusato di "agire su ordine degli americani e con il sostegno giudiziario europeo". L'ambasciata di Washington a Beirut ha immediatamente postato un tweet in cui ha espresso sostegno alle autorità libanesi, esortandole a "condurre un'indagine tempestiva e trasparente".