AGI - Il piccolo stato del Corno d'Africa, Gibuti, è nei guai. Il paese ha deciso di sospendere i pagamenti del debito contratto con la Cina e ora si apre una fase di grande incertezza, il default è dietro l'angolo. Gibuti potrebbe perdere i sui asset strategici.
A differenza di altri paesi africani, come l'Angola, Gibuti non ha risorse naturali da offrire, come il petrolio, per compensare i mancati pagamenti, ciò significa che potrebbe perdere il controllo del suo porto, quello di Doraleh all'ingresso del Mar Rosso e del Canale di Suez, strategico per la nuova via della seta della Cina, o della zona di libero scambio internazionale.
La Cina è il più grande creditore di Gibuti, con un debito di 1,4 miliardi di dollari, l'equivalente del 45% del Pil del paese, secondo il Fondo monetario internazionale. Gibuti deve denaro a istituzioni di proprietà cinese, come la Exim Bank of China, piuttosto che allo stesso governo di Pechino. Ciò significa che è improbabile che i suoi debiti vengano condonati ed è più probabile che vengano rinegoziati con pagamenti dilatati nel futuro.
L'economia di Gibuti e' stata colpita dall'invasione russa dell'Ucraina e dal conflitto del Tigray, nella vicina Etiopia, entrambe importanti fonti di cibo per il paese. Anche la siccità nel Corno d'Africa sta mettendo sotto pressione le importazioni di generi alimentari. Il risultato di questi shock è un'inflazione che ha raggiunto l'11%.
Secondo un'analisi del 2022 di Chatham House, le misure adottate per mitigare gli impatti dell'inflazione e della siccità hanno messo sotto pressione la capacità di Gibuti di onorare i debiti con la Cina.
Gli interessi sul debito sono triplicati nel 2022 arrivando a 184 milioni di dollari e dovrebbero salire a 266 milioni di dollari nel 2023 quando il paese inizierà i pagamenti per l'oleodotto finanziato dalla Cina verso l'Etiopia. Gibuti è la seconda nazione africana dopo lo Zambia a prendere la decisione di sospendere i pagamenti del debito.
Nel 2020, Lusaka ha dichiarato il default sui debiti di eurobond a causa degli effetti della pandemia di Covid-19. Ha quindi cancellato due miliardi di dollari di prestiti in sospeso, inclusi molti dalla Cina nell'ambito di un accordo di ristrutturazione del debito.
Nel piccolo stato del Corno d'Africa si sta materializzando ciò che è capitato allo Sri Lanka, la cosiddetta "trappola del debito". Quando il porto internazionale di Hambantota, dello stato asiatico, costruito dai cinesi, non è riuscito a guadagnare a sufficienza per ripagare il debito, la Cina ha rilevato il 70% della società, ed è ciò che potrebbe capitare con il porto gibutino di Doraleh.
Secondo gli analisti di Chatham House: "Gibuti è in difficoltà debitoria, ma il paese potrebbe essere troppo importante per la Cina per consentirne il default. Lungi dall'essere una sofisticata strategia per espropriare i beni africani, il dissoluto prestito cinese nelle sue fasi iniziali potrebbe aver creato una trappola del debito per la Cina, intrappolandola con partner africani ostinati e sempre più assertivi".
Gibuti non è solo importante e strategico per la Cina, e la nuova via della seta, lo è anche per molti altri paesi. Uno stato 13 volte più piccolo dell'Italia, con quasi 1 milione di abitanti, più della meta' dei quali vive nella capitale, con un indice di sviluppo umano dello 0,476 nella classifica mondiale si attesta al 172esimo posto.
Molto in basso. Su questo fazzoletto di deserto sono presenti migliaia di soldati, basi militari di Italia, Cina, Francia, Stati Uniti, Giappone, Arabia Saudita. Non e' un caso questa concentrazione di interessi.
Gibuti è un centro nevralgico per il commercio internazionale. Il 40% dei traffici, infatti, passa proprio da lì, grazie alla sua posizione geografica posta tra lo Stretto di Bab al-Mandab e il Golfo di Aden. Con la loro base i cinesi controllano le linee di comunicazione con il mercato europeo, il greggio sotto il loro controllo di origine sudanese e nordafricana, passa proprio dallo Stretto di Bab al-Mandab. Dato questo scenario nessuno ha interesse che Gibuti vada in default, ma tutti hanno interesse a continuare ad avere una presenza militare sulle rotte commerciali più trafficate del mondo.