AGi - Il ministro degli Esteri turco Mevlut Cavusoglu è negli Stati Uniti per una missione di tre giorni al centro della quale c'è l'incontro con il Segretario di Stato Anthony Blinken. Un viaggio che presenta diversi motivi di interesse, prima di passare in rassegna i quali è bene ricordare che lo scorso lunedi Cavusoglu ha incontrato il collega iraniano Hossein Amir Abdollahian per parlare della normalizzazione tra Ankara e Damasco che a Washington risulta indigesta.
L'attivissimo ministro degli Esteri turco, architetto delle strategie diplomatiche del presidente Recep Tayyip Erdogan, è l'unico ministro degli Esteri che siede al tavolo con Usa e Iran, ma anche con Russia e Ucraina. Al momento l'attenzione è sull' incontro con Blinken.
Usa e Turchia si sono accordate la scorsa estate sulla costituzione di un tavolo di lavoro comune che permetta di instaurare un meccanismo per sanare e prevenire l'insorgere di incomprensioni tra i due Paesi. Da anni Ankara e Washington polemizzano sul sostegno che gli Stati Uniti garantiscono ai curdi siriani dello Ypg. Polemiche che hanno attraversato sia l'era Obama che la parentesi Trump e che si sono riproposte con la nuova amministrazione del presidente Joe Biden.
Erdogan avrebbe voluto un'operazione di terra nel nord della Siria, piano riproposto più volte nei mesi scorsi e mai realizzato, anche per il no di Washington, che ha uomini sul territorio, oltre che di Mosca. Un doppio no che ha fermato i carri armati di Erdogan, che ora chiede garanzie sia al Cremlino che alla Casa Bianca, impegnatesi in passato a liberare il confine turco dai miliziani curdi Ypg.
Agli Stati Uniti Cavusoglu chiederà ancora, con tutta probabilità invano, di stoppare il sostegno a Ypg e l'alleanza degli americani con i separatisti curdi che sono stati la fanteria nella lotta all'Isis continuerà a creare tensioni tra i due. Erdogan non aspetterà la Casa Bianca e per raggiungere l'obiettivo di costituire una safe zone profonda 30 km, con la mediazione del Cremlino ha avviato un processo di normalizzazione con il regime di Damasco.
L'incontro tra Cavusoglu e Abdollahian dello scorso lunedi è un pezzo del mosaico che sta riavvicinando Ankara a Damasco. Una normalizzazione giunta a livello di incontri interministeriali in merito alla quale Russia e Iran premono, ma gli Stati Uniti hanno espresso un giudizio fortemente negativo proprio attraverso il Dipartimento di Stato. Altro dossier in sospeso riguarda i kit per la modernizzazione dei jet da guerra F16 in dotazione all'esercito turco e 40 nuovi aerei che Ankara attende da Washington e che sono stati personalment promessi da Biden ad Erdogan. Una promessa al momento non mantenuta per l'opposizione del Congresso.
La fornitura di F1 è l'ultimo capitolo degli anni di polemiche scaturite dopo l'acquisto del sistema di difesa missilistico russo s-400 da parte della Turchia. Acquisto sanzionato da Washington, che decise di negare alla Turchia i jet da guerra F35 su cui era precedentemente stato raggiunto un accordo. La promessa degli F16 rappresentava un compromesso con cui Erdogan e Biden speravano di lasciarsi alle spalle 4 anni polemiche tra i due Paesi. Cavusoglu, prima di partire ha ricordato come gli F16 "non siano solo importanti per la Turchia. ma per tutta la Nato".
E un altro membro Nato, la Grecia, è l'attore che più di tutti gli altri si oppone alla fornitura di F16. La disputa tra Ankara e Atene nel Mediterraneo Orientale ha fatto salire alle stelle la tensione tra i due Paesi negli ultimi mesi. Uno dei motivi sono proprio gli armamenti, forniti dagli Usa, che la Grecia ha dispiegato sulle isole in prossimità della Turchia. Una situazione potenzialmente esplosiva in cui solo Washington al momento sembra in grado di poter imbastire una mediazione. Sempre all'interno della Nato la Turchia ha nell'ultimo anno accresciuto esponenzialmente il proprio ruolo e la propria importanza.
Uno dei temi più caldi al momento riguarda l'allargamento a Svezia e Finlandia. Cavusoglu appena ieri ha definito "assurda" la decisione con cui un pubblico ministero di Stoccolma ha deciso di non procedere nei confronti degli organizzatori di una manifestazione di sostegno ai separatisti curdi del Pkk che ha avuto luogo lo scorso 11 gennaio. Una querela presentata anche da Erdogan, il cui manichino è stato esposto appeso a testa in giù durante il corteo.
"Non ci prendano in giro" ha tuonato il ministro degli Esteri che ha ricordato gli impegni contenuti nel protocollo firmato da Turchia, Svezia e Finlandia lo scorso Giugno a Madrid. I due Paesi aspiranti membri Nato, per convincere la Turchia a togliere il veto all'allargamento si erano impegnati a vietare manifestazioni e raccolte fondi a sostegno del Pkk e estradare in Turchia dei terroristi di cui Ankara chiede la consegna.
La manifestazione dell'11 gennaio ha provocato, tra le varie reazioni, anche la convocazione dell'ambasciatore svedese da parte del ministero degli Esteri di Ankara e al momento l'ingresso dei due Paesi scandinavi nella Nato, caldeggiato dalla Casa Bianca, appare lontanissimo.