AGI - “Mentre il lavoro sta cambiando, alcuni importanti amministratori delegati cercano di riportare i dipendenti in ufficio”, scrive il New York Times, ciò che fa presagire che l’era del lavoro a distanza stia per concludersi. Tuttavia, alcuni economisti affermano che questo non si verificherà nonostante la spinta da parte di alcuni Ceo si peso, come David Solomon, di Goldman Sachs, o Elon Musk che di recente ha messo fine alla politica del lavoro “da ogni dove" a Twitter.
Anche perché l'anno scorso, di fatto il lavoro a distanza si è stabilizzato ben al di sopra dei livelli prepandemici, secondo i dati raccolti da un gruppo di ricercatori della Stanford University, dell'Università di Chicago e dell'Instituto Tecnológico Autónomo de México. Scrive in proposito il Times, che nel 2019 “circa il 5% delle giornate lavorative interamente retribuite negli Stati Uniti sono state svolte da remoto”, ma quando il gruppo di ricerca ha iniziato a raccogliere dati per la Us Survey of Working Arrangements and Attitudes (Swaa), la percentuale è balzata a oltre il 60% nel maggio 2020 mentre nell'ultimo anno s’è attestata intorno 30%. Tradotto, significa che “siamo tutti tornati alle tendenze prepandemiche nello shopping online, ma in maniera stabile al lavoro online", ha affermato Nick Bloom, professore d’economia a Stanford, coautore d’un monitoraggio mensile sul caso.
Ad ogni modo la situazione di lavoro a distanza più comune “è ora il lavoro ibrido, con i dipendenti che trascorrono alcuni giorni in ufficio e altri in cui lavorano a distanza”. Nel sondaggio Swaa di dicembre, i lavoratori in grado di svolgere il proprio lavoro da casa hanno affermato “di preferire operare da remoto per circa 2,8 giorni a settimana” mentre i loro datori di lavoro pensavano di concedere loro “di lavorare da casa circa 2,3 giorni alla settimana”, il che non è poi così distante dalle aspettative di ciascuno.
Il quotidiano poi osserva che ci sono buoni motivi per cui i dipendenti preferiscono lavorare da remoto, e tra questi uno dei principali è dato dal fatto che “vogliono evitare il tempo e i costi del pendolarismo”, che “si concentrano meglio senza chiacchiere in ufficio” e che sentono che è meglio “per il loro benessere stare a casa” a lavorare. E quando l'anno scorso McKinsey, la società di consulenza ha chiesto a 12.000 persone in cerca di lavoro i motivi veri per cui cercavano un nuovo lavoro, la risposta è stata che quello flessibile si collocava nella graduatoria tra le possibilità di offrire "maggiori retribuzioni e migliori orari" e anche "migliori opportunità di carriera".
Dal 1° gennaio per poter ricorrere allo #smartworking i lavoratori dovranno stipulare un accordo individuale. L’unica eccezione è per i rapporti con lavoratori fragili, nei quali non rientrano i genitori di figli minori di 14 anni. https://t.co/DhcgRvSElC pic.twitter.com/tJ2h45zbBc
— Fondazione Centro Studi Doc (@centrostudidoc) January 9, 2023
Il quotidiano osserva anche che spesso proprio uno dei motivi per cui alcuni economisti ritengono che una recessione avrebbe un impatto minimo oggi sul cambiamento delle modalità di lavoro è dato dal fatto che “consentire ai dipendenti di operare al di fuori dell'ufficio può anche avvantaggiare le aziende”.
Un esempio concreto? In un sondaggio condotto da ZipRecruiter, il sito di ricerca di lavoro, le persone in cerca di lavoro in media hanno affermato che accetterebbero persino “una riduzione dello stipendio del 14% pur di poter lavorare da remoto”. Un sicuro vantaggio in momento in cui l'economia sta rallentando e le aziende sono alla ricerca di modi per rendere più razionale il proprio lavoro senza dover aumentare la retribuzione. E una possibile fase di recessione potrebbe persino rendere il lavoro a distanza più e non meno vantaggioso. Per tutti, lavoratori e aziende.