AGI - Turchia e Cina ai ferri corti e ancora una volta al centro delle tensioni tra i due Paesi gli uiguri, minoranza turcofona e musulmana originaria dello Xinjiang, estesissima regione al confine ovest della Cina, dove è soggetta a politiche di inglobamento etnico e oppressione per motivi religiosi da parte di Pechino.
"I nostri rapporti hanno subito un forte rallentamento. A Pechino dà fastidio la nostra posizione sugli uiguri e la difesa di questa minoranza che la Turchia porta avanti dinanzi la comunità internazionale. C'è un nuovo rapporto Onu sugli uiguri ed è giusto che se ne parli", ha detto il ministro degli Esteri di Ankara, Mevlut Cavusoglu. Il capo della diplomazia del governo del presidente Recep Tayyip Erdogan appena pochi giorni fa aveva rivelato che il governo cinese per 5 anni ha negato l'autorizzazione ad entrare nella regione all'ambasciatore turco. Autorizzazione negata anche per nascondere i 'campi di rieducazione' in cui gli uiguri vengono rinchiusi quando accusati di 'terrorismo' e dove organizzazioni come Human Rights Watch e tantissimi sopravvissuti e reduci denunciano pratiche mirate alle sterilizzazione.
Ma la polemica tra Ankara e Pechino è montata in contemporanea alle tensioni tra Huawei e Turkcell, i due giganti della telefonia dei due Paesi tra cui sarebbe esploso un disaccordo relativo un appalto. Huawei, in base a quanto riportato dal sito francese Intelligence online, avrebbe minacciato di congelare le operazioni svolte in collaborazione con Turkcell che aveva detto no alla richiesta dei cinesi di rivedere al ribasso le richieste economiche in un appalto in fase di svolgimento. Più di una indiscrezione e difficilmente verificabile, ma tuttavia un segnale di tensione giunto con una tempistica non casuale. Pochi giorni dopo sono infatti arrivate le critiche di Cavusoglu, parole dure dopo anni in cui Ankara aveva abbassato i toni.
Nel 2019 infatti il trattamento che la Cina riserva a questa minoranza, le torture e le operazioni da 'pulizia etnica' sono state denunciate dalla Turchia presso le Nazioni Unite. Una denuncia che scatenò la reazione di Pechino, che chiuse momentaneamente il consolato di Smirne, porto commerciale strategico sul Mediterraneo e annunciò "conseguenze economiche e commerciali".
Un Tibet senza Dalai Lama
La legislazione cinese sulle cosiddette "Attività religiose illegali" da più di 30 anni permette la persecuzione di questa minoranza, anche per il solo fatto di parlare la propria lingua madre, completamente diversa dal cinese, o praticare la fede islamica in privato. Negli ultimi 50 anni Pechino ha spostato un enorme numero di cinesi di etnia han nei principali centri della regione, Kashgar, Urumqi e Khotan, per inglobare etnicamente la minoranza uigura. La scelta della Turchia di difendere questa minoranza è stata dettata dalle comuni radici etniche, linguistiche e religiose della popolazione dello Xinjiang, culla degli uiguri che la chiamano con il nome turcofono originale di 'Turkestan orientale'. Una regione da molti definita 'un Tibet senza Dalai Lama', quasi a metterne in risalto il feroce livello di oppressione, ma la mancanza di un ambasciatore che nel mondo denunciasse i soprusi di Pechino.
Ankara ha anche permesso l'insegnamento della lingua in apposite classi, impensabile sotto il giogo di Pechino e anche per questo i rapporti tra i due Paesi sono stati ciclicamente avvelenati dal trattamento che la Cina ha riservato agli uiguri e, viceversa, dalla protezione garantita da Ankara. Alcune centinaia di migliaia di uiguri hanno trovato negli anni asilo in Turchia, un Paese da cui poi la diaspora si è diffusa in tutto il mondo, che li protegge e ritiene cugini, enfatizzando sempre la vicinanza culturale. Attualmente sono più di 50 mila gli uiguri registrati in Turchia, anche se, trattandosi di una migrazione di vecchia data, moltissimi altri hanno preso ormai la cittadinanza turca.
Erdogan era stato sul punto di siglare con la Cina un trattato relativo l'estradizione degli oppositori uiguri in Turchia 4 anni fa, salvo fare marcia indietro, convinto dalle polemiche immediatamente scatenate dall'opinione pubblica all'interno del Paese. Opinione pubblica che in Turchia è compatta nel difendere questa minoranza.
Il legame con gli uiguri è sentito dagli stessi turchi, la stragrande maggioranza dei quali è favorevole a garantire protezione a questi 'lontani cugini', sul cui legame spesso sono proprio gli ultranazionalisti vicini a Erdogan a prendere posizioni anti cinesi. Nel 2015, in seguito a delle polemiche tra Ankara e Pechino sulla repressione in atto nel Turkestan, a Istanbul e Ankara gruppi di estrema destra diedero via a una caccia ai cinesi in cui a farne le spese furono alcuni ristoranti e gruppi di turisti, anche coreani e tailandesi, scambiati per cinesi. Ambasciata e consolato cinese furono presidiati dalla polizia in assetto antisommossa per mesi.
Con le elezioni alle porte Erdogan si trova sospeso tra il portare avanti una strenua difesa di questa minoranza in linea con il pensiero del proprio Paese e il cercare di non infastidire troppo Pechino. Con la crisi economica che affligge la Turchia, la peggiore in 20 anni, il presidente turco non puo' dimenticare che nel 2021 il volume di scambio commerciale tra i due Paesi ha raggiunto i 40 miliardi di dollari. Soldi cui la Turchia non può fare a meno in futuro