AGI - Non c'è solo Jimmy Lai, il 75enne fondatore del tabloid più letto di Hong Kong, l'Apple Daily, chiuso circa un anno e mezzo fa. L'editore è stato condannato a 5 anni e 9 mesi di carcere per frode perchè, secondo le autorità, avrebbe subaffittato illegalmente degli spazi per uffici negli anni '90. Il primo dicembre sarebbe dovuto iniziare un processo separato in cui Lai è accusato di aver violato la legge sulla sicurezza nazionale, poi rinviato su richiesta delle autorità cittadine. Se condannato, rischia l'ergastolo. Ma non c'è solo lui a subire il giro di vite iniziato dalle autorità dell'ex colonia britannica dopo la stagione di proteste iniziata nel giugno 2019.
I numeri
Da allora, scrive Asia News, almeno 1.315 persone sono finite in prigione o in altri istituti di correzione nella repressione scatenata dal governo dopo che migliaia di cittadini manifestarono per mesi contro il progetto di legge sull'estradizione (poi abortito), e più in generale per chiedere libertà e democrazia. A rivelare le cifre del pugno duro il segretario cittadino per la Sicurezza Chris Tang, sottolineando che 345 tra i condannati hanno meno di 21 anni.
Secondo dati rivelati in ottobre dal suo dipartimento, la polizia ha arrestato più di 10mila individui per le dimostrazioni pro-democrazia. Circa 3mila, inclusi 517 minorenni, sono finiti a processo; in 2.044 hanno concluso l'iter giudiziario, con 1.631 che hanno avuto condanne di vario tipo - carcere, libertà vigilata e servizi sociali.
Le accuse
Le imputazioni riguardano per lo più i reati di rivolta, assembramento illegale e possesso di armi di offesa. Il giro di vite imposto dalle autorità cittadine dopo le manifestazioni del 2019, soprattutto con l'adozione nel 2020 della legge sulla sicurezza nazionale imposta da Pechino, ha nei fatti limitato, sospeso o cancellato i diritti di riunione, associazione, espressione e partecipazione politica. Tang ha spiegato che 474 dei detenuti per le proteste del 2019 hanno partecipato con successo al programma PATH per aiutarli a "ricostruire valori positivi".
Gestito dal Dipartimento per i servizi di correzione, il progetto di "deradicalizzazione" prevede l'insegnamento di materie come storia cinese, educazione morale e civica per rafforzare il senso d'identità nazionale. Comprende anche sostegno psicologico e aiuto per il reinserimento nella società.
La "rieducazione"
Le autorità della città hanno adottato però iniziative "rieducative" ben più rigide: giovani filo-democratici in prigione sono obbligati a seguire sedute di "educazione patriottica" e sessioni di addestramento militare. Per l'esecutivo pro-Pechino, si tratta di minori con "vedute ideologiche estreme" da rieducare. è lo stesso trattamento, sottolinea Asia News, che secondo l'ufficio del Commissario Onu per i diritti umani la leadership cinese riserva agli uiguri e alle altre minoranze musulmane dello Xinjiang, accusate di terrorismo e separatismo.
E non è differente dal "lavaggio del cervello" a cui sono spesso sottoposti vescovi e sacerdoti cattolici per spingerli ad aderire alla Chiesa "ufficiale", controllata dal Partito comunista cinese. Pechino non nasconde la volontà di rieducare anche i taiwanesi. In agosto l'ambasciatore cinese in Francia, Lu Shaye, ha ribadito che gli abitanti di Taiwan dovranno essere "rieducati" quando la provincia "ribelle" sarà riunificata con la Cina continentale. Lu ha specificato che la rieducazione dei taiwanesi è necessaria perchè le autorità di Taipei hanno "indottrinato e intossicato" la popolazione con un'educazione anti-cinese.
Secondo l'alto diplomatico di Pechino, dalle menti degli abitanti dell'isola devono essere cancellati "pensieri e teorie secessionisti". Ad Hong Kong intanto inizia un lungo periodo in prigione per Lai, che secondo i giudici non ha provato alcun rimorso per quanto avrebbe fatto. Il 75enne ha recentemente scontato la pena per aver preso parte a una veglia vietata l'anno scorso per le vittime del massacro di piazza Tiananmen in Cina nel 1989. Suo figlio ha sottolineato che è "deludente" che il Regno Unito non stia facendo di più per aiutare Lai, che possiede la nazionalità britannica.
In una dichiarazione separata, Sebastian Lai ha affermato che suo padre non ha fatto nulla di male e aveva già trascorso del tempo in prigione per "aver difeso i diritti umani". Lai si trova davanti la prospettiva di una vita dietro le sbarre a causa di un processo separato per accuse di sicurezza nazionale. Oltre ad essere stato condannato a cinque anni e nove mesi, Lai è stato multato di 2 milioni di dollari di Hong Kong (oltre duecentomila euro).
L'uomo si trova a vivere sotto custodia dal dicembre 2020. Giovedi' ha festeggiato il suo 75esimo compleanno in prigione. Secondo la legge sulla sicurezza nazionale potrebbe affrontare il resto della sua vita in prigione. Era stato a lungo considerato l'obiettivo numero uno della legge imposta da Pechino.