AGI - Il Parlamento indonesiano ha approvato un'ampia riforma del codice penale che prevede, tra l'altro, il divieto di sesso extraconiugale, ma anche della contraccezione, dell'aborto e dell'apostasia: riforme definite "antidemocratiche" dalle ong e dai gruppi a tutela dei diritti civili che lasciano temere - in quello che è il Paese con più alto numero di musulmani al mondo ma di tradizione liberale e in cui il secolarismo è addirittura sancito nella Costituzione - una svolta verso il fondamentalismo islamico.
La riforma - la più ampia del codice penale da quando, nel 1945, l'Indonesia ottenne l'indipendenza dai Paesi Bassi- aveva scatenato proteste anche nel passato e nelle ultime ore centinaia di persone sono tornate a manifestare dinanzi al Parlamento a Giacarta.
Quasi un centinaio di ong ne hanno denunciato il contenuto "antidemocratico" in un Paese che ha già superato il periodo buio della dittatura di Suharto. "È tempo di lasciarsi alle spalle il codice penale coloniale che abbiamo ereditato", ha però spiegato il ministro della Giustizia.
Alcuni degli articoli più controversi criminalizzano il sesso pre ed extraconiugale, così come la convivenza tra coppie non sposate. Il timore è che queste nuove regole possano avere un impatto anche sulla comunità LGTBQ in un Paese dove il matrimonio tra persone dello stesso sesso non è consentito.
Il sesso al di fuori del matrimonio sarà punito con un anno di carcere e la convivenza con sei mesi, ma le accuse devono essere basate su denunce alla polizia presentate da un coniuge, dai genitori o o dai figli. Le ripercussioni potrebbbero esserci anche nel settore turistico e danneggiare l'immagine dell'Indonesia come destinazione tra le più gettonate nel Sud-Est asiatico.
Taufik Basari, deputato del partito NasDem, ha spiegato che se, per esempio, un turista a Bali farà sesso consensuale con un cittadino indonesiano, e verrà denunciato alla polizia dal genitore o dal figlio dell'indonesiano, il turista potrebbe essere arrestato. "So che avrà un impatto sul turismo", ha aggiunto, "motivo per cui dovremo spiegare all'opinione pubblica che le denunce alla polizia dovrebbero essere limitate a ciò che la famiglia ritiene sia veramente importante".
La riforma prevede per la prima volta anche la considerazione dell'apostasia come reato e amplia le leggi già esistenti contro la blasfemia, esortando a perseguire con la reclusione fino a 5 anni chi esprime opinioni pubbliche o commette "atti ostili" contro le religioni professate nell'arcipelago.
Punisce inoltre gli insulti al presidente e al vicepresidente del Paese, con un massimo di tre anni di reclusione e vieta le proteste pacifiche senza previa autorizzazione, con pene fino a sei mesi di carcere.
Sostiene inoltre che l'aborto è un reato, anche se contiene eccezioni per le donne che hanno una situazione sanitaria a rischio o che sono state stuprate, a condizione che il feto abbia meno di 12 settimane. Adesso che è stata approvata, si apre un periodo di circa due/tre anni in cui la riforma può essere impugnata davanti alla Corte costituzionale; ma considerati gli stretti legami, nel Paese, tra la Corte e il governo, è probabile che sarà implementata.
Ecco perché all'esterno del Parlamento, tra chi protestava c'era anche chi ha lasciato cadere petali sulla bandiera indonesiana come si fa ai funerali, in segno di lutto. "Stiamo tornando indietro. Le leggi repressive avrebbero dovuto essere abolite, ma questa legge dimostra che la nostra democrazia è indiscutibilmente in declino", ha denunciato il direttore per l'Indonesia di Amnesty International, Usman Hamid.