AGI - Il ‘grande giorno’ dell’annuncio di Donald Trump è arrivato. O, almeno, dovrebbe.
Perché quello in cui il tycoon dovrebbe ufficializzare la sua candidatura per le presidenziali del 2024 è un appuntamento che, secondo i media americani, si sarebbe dovuto celebrare già altre volte: a inizio settembre, dopo il Labor Day, poi nell’ultimo comizio prima del voto, in Ohio, poi il 9 novembre, dopo il voto, e infine il 15 a Mar-a-Lago, nel resort in Florida di Trump.
Tra le date c’era anche il giorno di Thanksgiving, il vero Natale americano, il 24 novembre, ultimo giovedì del mese, ma alla luce degli ultimi sviluppi si sarebbe potuto tenere la notte di Halloween, considerati gli ’spettri’ della sconfitta al Senato per i Repubblicani.
Alla fine i consiglieri del suo staff hanno spezzato i dubbi e dato appuntamento per martedì 15 novembre,
Non un giorno scelto a caso. È il giorno dopo la scadenza del termine fissato dalla commissione d’inchiesta del Congresso, che aveva convocato il tycoon a testimoniare sui fatti del 6 gennaio 2021, quello dell’insurrezione a Washington. Come ogni cosa che lo riguarda, Trump ci arriverà con tutto il carico di tensioni, popolarità e controindicazioni: un'ala del Partito repubblicano ha provato a convincerlo a rimandare l’annuncio, per non compromettere la corsa di senatore in Georgia del suo candidato, l’ex campione di football Herschel Walker, che il 6 dicembre andrà al ballottaggio con il democratico Raphael Warnock.
Se i liberal dovessero aggiudicarsi anche questa sfida, finirebbero addirittura per avere cinquantuno seggi, uno in più di questa legislatura, e dunque persino in grado di neutralizzare il peso di uno dei due moderati, Joe Manchin e Kyrsten Sinema, che in questi due anni hanno tenuto il partito sotto scacco.
Trump non vuole rinviare l’annuncio, perché lo considererebbe “umiliante”, un segno di debolezza proprio nel momento in cui gli americani conservatori cominciano a guardare al governatore della Florida Ron DeSantis come il candidato da lanciare nel 2024.
Se c’è una cosa che Trump non contempla nel suo personale dizionario è la parola ‘debolezza’. Tutti i media si stanno preparando al “very big announcement”: la Cbs ha inviato da giorni una troupe a Mar-a-Lago, lo stesso ha fatto la la Cnn. Il Washington Post ha predisposto aggiornamenti live. La buona notizia per molti giornalisti è il fatto che raggiungere Miami da Washington è molto semplice, ma non lo sarà prevedere che cosa ne verrà fuori. O, almeno, non più di quanto avvenne nel 2016 quando Trump annunciò la sua tumultuosa candidatura alle presidenziali.
Allora bisognava tenere a bada un personaggio che aveva appena attaccato sui social Barack Obama, di cui aveva messo in dubbio l’origine americana. Sei anni fa i media erano convinti che il passaggio istituzionale della candidatura avrebbe finito per moderare i toni e contenere l’esuberanza del miliardario newyorkese. Previsione non azzeccata. Adesso Trump arriva dopo essere stato accusato di aver promosso l’insurrezione del 6 gennaio e dopo aver denunciato i brogli elettorali in Pennsylvania, Nevada e Arizona. In più ha quattro procure che gli stanno alle calcagna.
Sei anni fa l’annuncio dominò i notiziari, e adesso? La crescita verticale di popolarità di DeSantis, su cui si sono già spalmati i media di Rupert Murdoch come Fox News e New York Post, potrebbe togliere forza al momento mediatico del “big announcement”, ma non l’effetto drammatico che avrà sul Gop. Chi non confermerà il pieno appoggio a Trump è destinato a finire nel mirino dei supporter del tycoon.
Alcuni rappresentanti del partito hanno già mandato segnali di freddezza. “I candidati di Trump - ha commentato il senatore repubblicano della Louisiana Bill Cassidy - hanno fatto male. Ora dobbiamo guardare al futuro, il popolo americano vuole idee nuove”. E, sottinteso, candidati nuovi. L’ex governatore del New Jersey, Chris Christie, lo ha attaccato in modo frontale: “Questa sconfitta ha un solo responsabile: Donald Trump”. Il fedelissimo Josh Hawley, quello che aveva salutato l’insurrezione del 6 gennaio, ha dichiarato “morto il vecchio partito repubblicano”, ma senza indicare stavolta con chi comincerà quello “nuovo”.
Sui social molti elettori conservatori invocano DeSantis e scaricano Trump che, intanto, ha attribuito la colpa del mezzo flop delle elezioni sul leader dei Repubblicani al Senato Mitch McConnell. Clima molto trumpiano, ma con una differenza: nel 2016 il grande avversario del tycoon sarebbero stati i Democratici. Stavolta, saranno quelli del suo stesso partito e il fatto che l’annuncio arriverà da quella Florida che sta lanciando il suo potenziale sfidante, sembra la chiusura del cerchio, o l’inizio dello scontro.