AGI - La regione del Sahel, fino all’invasione russa dell’Ucraina, era considerata la “più importante per l’Europa”. Le risorse stanziate per stabilizzare l’area sono state ingenti sia dal punto di vista politico, finanziario e militare. Ma, nonostante gli sforzi internazionali, la sicurezza del Sahel non è migliorata, anzi rimane estremamente critica e si accompagna a livelli molto bassi di sviluppo umano.
Nell’ultimo decennio, i gruppi jihadisti hanno costantemente accresciuto il loro potere, approfittando delle debolezze delle istituzioni nazionali. Gli sviluppi esogeni ed endogeni hanno una direzione chiara - soprattutto dopo lo smantellamento dell’operazione Barkhane – il disimpegno di Bruxelles dal Sahel e dal Mali in particolare, oltre che dal Burkina Faso. In primo luogo i colpi di stato in Mali, Ciad e Burkina Faso hanno generato notevoli dilemmi diplomatici per l’Unione europea.
Poi, le tensioni diplomatiche tra Mali e alcuni stati europei – in particolare la Francia – hanno influenzato inevitabilmente l’approccio politico-diplomatico dell’Ue. Inoltre, la guerra in Ucraina ha aggravato la situazione europea e accelerato il disimpegno, mentre Mosca sta stabilendo rapporti di cooperazione militare sempre più stretti con Bamako, ma anche con altri paesi dell’Africa occidentale. Un pezzo di impero francese, dunque, è caduto nelle mani di Mosca.
La presenza russa è significativa così come l’evoluzione della collaborazione stretta tra Bamako e la Russia. La diffusione, poi, della minaccia jihadista verso il Golfo di Guinea, portano a ripensare una visione troppo rigida e perimetrata nei cinque stati del Sahel.
Una conferma del ripensamento europeo nei confronti del Sahel è arrivata anche dall’alto rappresentate per la politica estera dell’Unione europea, Josep Borrell: “Bisogna ridurre gli effettivi, in modo coordinato, e rischierarli in altri paesi della regione, e vedere poi come gli obiettivi della missione possano essere ridefiniti per continuare ad assistere la popolazione. Abbiamo deciso di sospendere tutte le attività di addestramento delle truppe, e non vedo più una prospettiva perché queste attività possano riprendere nel prossimo futuro”.
Questo spiega su quale strada stia andando l’impegno europeo che potrebbe essere spostato più a sud, verso i paesi del Golfo di Guinea e più a nord verso il Niger.
Di certo la situazione di rottura insanabile tra l’Occidente e il Mali rischia di rendere sempre più problematico l’impegno in tutta la regione. Poi, occorre fare i conti con la crisi ucraina che ha acuito anche lo scontro, in Africa, tra Occidente e Russia. Vedremo. Dopo lo schiaffo maliano, Parigi intende operare non più da “protagonista” ma in seconda linea. Un modo per ridurre la visibilità della sua azione che fino ad ora ha dimostrato di essere un “irritante” delle opinioni pubbliche africane, ma di certo manterrà una presenza nella regione di influenza storica.
Non è un aspetto marginale, né coreografico il fatto che il secondo colpo di stato in Burkina Faso sia stato salutato da manifestanti che sventolavano le bandiere russe. L’attenzione si concentrerà in Niger, nuovo partner privilegiato e strategico. Parigi intende invertire completamente il rapporto di partnership: è il partner che decide cosa vuole fare, le capacità di cui ha bisogno e controlla lui stesso le operazioni svolte con il supporto francese o occidentale.
Secondo la Francia questo sarebbe il modo migliore per continuare ad agire efficacemente al fianco dei partner storici. L’imperativo è quello di non irritare i partner e operare con discrezione.
Un nuovo approccio che tiene conto anche dell’opinione pubblica d’oltralpe che non comprende più la politica post coloniale della Francia. C’è, poi, una questione di non poco conto, ciò l’espansionismo jihadista verso il Golfo di Guinea.
Ciò significa che l’attenzione della comunità internazionale dovrebbe spostarsi con più decisione verso quei paesi così da salvaguardare aree dell’Africa Occidentale che, fino ad ora, sono state relativamente toccate dai jihadisti. Gli attacchi in Benin e Togo hanno alzato il livello di criticità, tanto che Francia ed Europa intendono rafforzare il sostegno ai paesi del Golfo di Guinea.
Non è un caso che negli ultimi mesi si sia intensificata l’azione diplomatica proprio in questa regione e tra partner europei. A emergenza si somma emergenza. La regione del Sahel sta vivendo una situazione estremamente critica non solo dal punto di vista della sicurezza - l’impegno militare di Francia e Unione europea non ha portato nessun risultato concreto – ma anche e soprattutto dal punto di vista umanitario.
Secondo di dati forniti dall’Ufficio delle Nazioni Unite per il coordinamento degli affari umanitari (Ocha), circa 18 milioni di persone nella regione del Sahel stanno affrontando una grave insicurezza alimentare, la più grave crisi umanitaria dal 2014. “Nel Sahel intere famiglie sono sull’orlo della fame”, ha spiegato il responsabile degli affari umanitari dell’Onu, Martin Griffiths, chiedendo un intervento immediato.
Per far fronte a questa crisi l’Onu ha sbloccato 30 milioni di dollari dal Fondo centrale di risposta alle emergenze (Cerf) per Burkina Faso, Ciad, Mali e Niger.
Quest’ultimo contributo porta a quasi 95 milioni di dollari il totale dei fondi erogati al Sahel, che comprendono anche quelli stanziati per Mauritania e Nigeria. Secondo Griffiths, questa iniezione di fondi aiuterà le agenzie sul campo a intensificare la risposta all’emergenza per evitare un disastro, ma “non è un sostituto per i contributi più sostanziosi dei donatori di cui abbiamo bisogno per sostenere la nostra risposta e aiutare a costruire comunità resilienti”.
All’inizio di quest’anno, l’Onu ha lanciato sei appelli umanitari nel Sahel per un totale di 3,8 miliardi di dollari per fornire assistenza in tutta la regione entro il 2022. Tuttavia, a metà anno, meno del 12% degli appelli è stato finanziato.