AGI - Clienti contro la pasta Barilla. Accade negli Stati Uniti. “Due scatole di pasta da 2 dollari hanno portato ad una possibile class action che potrebbe costare a Barilla milioni di dollari, secondo i legali”, scrive il Washington Post.
Il fatto in sintesi: una coppia di acquirenti della famosa pasta italiana, Matthew Sinatro e Jessica Prost, hanno citato in giudizio l’azienda di Parma sostenendo di ritenere che la pasta fosse prodotta in Italia.
Le scatole sono marchiate con "Il marchio di pasta n. 1 in Italia" e loghi che mostrano i colori della bandiera italiana, ma invece “la pasta è fatta in Iowa e New York”. I due clienti hanno perciò sostenuto che “non avrebbero acquistato la pasta se avessero saputo che non era prodotta in Italia, che è apprezzata non solo per la creazione della pasta ma anche per avere il grano duro ad alto contenuto proteico necessario per realizzare un prodotto di qualità”.
Il magistrato statunitense Donna Ryu ha stabilito lunedì che il caso ha abbastanza titoli per procedere in giudizio. "Le accuse dei due clienti sono sufficienti per stabilire un danno economico", ha scritto Ryu.
Scrive il Post: “Barilla ha sede in Illinois ma nasce come ditta che vendeva pane e pasta a Parma, in Italia. Le strutture in Iowa e New York utilizzano ingredienti provenienti da paesi diversi dall'Italia, secondo documenti in possesso del tribunale” mentre Barilla non ha rilasciato per il momento nessun commento in merito.
Ma si tratta di un caso di pubblicità ingannevole? Di “circonvenzione del consumatore”? L'azienda italiana, tuttavia, in merito a quanto riportato dal Washington Post fa sapere che la decisione del Giudice federale non è ogni caso “una decisione sul merito” della pasta di un processo che è ancora nelle sue fasi di avvio” e comunque Barilla “è impegnata a difendersi con vigore da affermazioni che riteniamo senza fondamento, dato che sulle confezioni di pasta Barilla prodotte negli Stati Uniti è chiaramente riportata l’indicazione Made in the U.S.A. with U.S.A. and imported ingredients”.
Rebecca Tushnet, professoressa presso la Harvard Law School, ha affermato che “le persone si sentono ingannate quando pagano un sovrapprezzo per quello che considerano un prodotto speciale, come il cioccolato svizzero” e su quest’aspetto del problema sostiene che “sempre di più i consumatori intentano cause per pubblicità ingannevole contro le aziende che vendono prodotti nei negozi di alimentari” in quanto “non s’aspettano di comprare qualcosa fatto a 6.000 miglia di distanza per 2 dollari. È una questione di buon senso”.
Tant’è che Alexandra J. Roberts, professoressa di legge alla Northeastern University di Boston, ha affermato che alcuni consumatori sono particolarmente seccati per il fatto che “il succo d'arancia definito naturale della Florida ora utilizza anche arance messicane” mentre “l'industria degli agrumi in Florida è premiata proprio per la sua qualità e coerenza, quindi “i consumatori sono disposti a pagare di più solo per il fatto che le indicazioni sulla confezione sono esatte e dicono la verità”. Ma nella realtà non è così, constatata Roberts.
Annota però il giornale di Washington che tra le domande frequenti nella pagina della Faq sul sito della Barilla non si sono particolari quesiti sull’origine della pasta. Avrà effetti quest’aspetto sull’azione legale intentata da Matthew Sinatro e Jessica Prost contro Barilla? *Anche su quest’aspetto l’azienda di Parma fa sapere che “le informazioni su dove viene prodotta la pasta Barilla sono inoltre disponibili pubblicamente anche nella sezione FAQ del sito web di Barilla US”.
* Tanto più che “sono circa 25 anni che produciamo pasta negli Stati Uniti. In Usa diamo lavoro a centinaia di persone tra la nostra sede operativa in Illinois e due stabilimenti produttivi, il primo aperto nel 1998 e il secondo nel 2007. Oggi tutta la pasta Barilla venduta in USA è prodotta nei nostri stabilimenti di Ames, in Iowa e Avon, nello Stato di New York. Fanno eccezione solo alcune referenze di pasta ripiena prodotte in Italia, e anche in questo caso l’informazione è riportata con chiarezza in etichetta”.
E i metodi produttivi, secondo l’azienda, sono gli stessi sia negli States che in Italia. Cambiano. I luoghi di produzione “ma non cambiano la ricetta” e “il know how italiano” mentre “la nostra è una costante ricerca della qualità”. Infine, nel merito del ricorso avviato dai due consumatori, Matthew Sinatro e Jessica Prost, Barilla dice di voler essere la prima “a fare chiarezza su questa vicenda e siamo fiduciosi in un esito positivo”, si legge in una nota ufficiale dell’azienda di Parma.
* Testo aggiornato alle ore 15,30 del 23 ottobre 2022