AGI - Dal vertice di Praga era più facile uscire senza un accordo vero sulle soluzioni europee alla crisi energetica. Era un Consiglio informale, interlocutorio, che non richiede conclusioni obbligatorie. E quindi è stato declassato a una tappa intermedia. Ma al Consiglio europeo formale del 20-21 ottobre non ci saranno più scuse. I Ventisette dovranno uscire con un piano d’azione, concreto e dettagliato, per dare risposte immediate ai cittadini. Questo è l’impegno sia degli Stati che della Commissione. Ma per arrivarci c’è ancora della strada da fare, ci sono diverse posizioni che devono convergere e tanti angoli da smussare.
La presidenza ceca dell’Ue si è presa "l’impegno a convocare tutti i Consigli Energia necessari" per mettere a punto una strategia che possa contare su un ampio sostegno quando sarà il momento di deliberare. La prima riunione informale dei ministri dell’Energia si terrà già martedì e mercoledì prossimi (sempre a Praga) ma in realtà gli incontri tra sherpa, ministri, tecnici e ambasciatori sono quotidiani.
We had a thorough first discussion on how to limit gas prices, guarantee the the good functioning of the Single Market and boost investments via #REPowerEU https://t.co/rCqVLgeTFp
— Ursula von der Leyen (@vonderleyen) October 7, 2022
La roadmap a cui lavora la Commissione europea, sintetizzata nell’ormai famosa lettera della presidente Ursula von der Leyen ai leader Ue si basa su quattro elementi: negoziare con i fornitori affidabili prezzi migliori; tagliare i picchi di prezzo nel mercato del gas naturale, limitare l’influenza del costo del gas sul prezzo dell’elettricità e l’acquisto congiunto per riempire gli stoccaggi.
A questi si può sommare un maggiore impegno finanziario per sostenere gli Stati nei loro investimenti per la transizione energetica. Tutto il piano si basa sul precario equilibrio tra il taglio dei prezzi (è l’intento dei promotori del price cap) e la sicurezza degli approvvigionamenti (l'ossessione dei contrari al tetto ai prezzi).
Sull’impostazione generale sono tutti d’accordo. O comunque, anche i più strenui difensori della sacralità delle leggi del mercato, si sono arresi alla necessità di dover intervenire dato il rischio di recessione che corre l’Ue incagliata ora in un’economia di guerra. Il braccio di ferro è sui dettagli.
Russian gas supplies to the EU have decreased from 40% to 7.5% of pipeline gas.
— European Commission (@EU_Commission) October 8, 2022
We have compensated for this reduction by increasing imports of LNG and pipeline gas, mainly from our reliable suppliers like the US and Norway.
President @vonderleyen at #EPlenary pic.twitter.com/zF7ThfmeWB
Il ruolo del Ttf di Amsterdam
L’esecutivo europeo vorrebbe, intanto, negoziare con i fornitori affidabili - vedi Norvegia, Algeria, Qatar, Stati Uniti - dei corridoi di prezzi equi, che siano legati ad altri valori di riferimento, che possono essere quello asiatico o quello americano, e non più nelle mani del Ttf di Amsterdam vittima della speculazione eterodiretto da Mosca.
La Commissione su questo elemento ha già strappato l’impegno della Norvegia (ora principale fornitore del mercato Ue). E prima del Consiglio informale di Praga, la commissaria all’Energia, Kadri Simson, sarà in visita in Algeria - lunedì e martedì - con lo stesso progetto. Il principio alla base è “non possiamo trattare chi è dalla nostra parte, chi ci è venuto in soccorso nel momento del bisogno, allo stesso modo della Russia”.
Il timore è però che, in particolare con il gas naturale liquefatto (Gnl) che viaggia su nave e quindi facilmente deviabile, questi fornitori affidabili scelgano di seguire il portafogli non il cuore e preferire il mercato asiatico se la proposta dei prezzi europei dovesse scendere di troppo. In ogni caso a nessuno a Bruxelles verrebbe in mente di proporre un prezzo più basso rispetto alle altre regioni (anche perché ora l’Europa paga mediamente il 30% in più).
Per disinnescare questo rischio di perdere la forniture ci sono due binari: gli acquisti congiunti e il coinvolgimenti dei clienti asiatici, in particolare Corea del Sud e Giappone. Gli acquisti comuni, sul modello dei vaccini anti-Covid, permetterebbero all’Ue da una parte di imporsi, perché si presenterebbe come unico grande cliente negoziatore e non ventisette piccoli clienti che si fanno concorrenza pure tra loro, e dall’altra di essere comunque più attrattiva in termini di contratti a lungo termine.
L’Unione ha un suo peso economico e lo vorrebbe esercitare. Il coinvolgimento dei Paesi asiatici volenterosi (che avrebbero comunque l’interesse a controllare i prezzi insieme all’Ue) toglierebbe ai fornitori la possibile alternativa.
Il secondo elemento nella roadmap della Commissione è appunto intervenire sul Ttf di Amsterdam. L’Europa ora paga di più il gas rispetto alle altre regioni perché si basa su indice che non è più rappresentativo della realtà del mercato. Il Ttf è calcolato essenzialmente sul metano da gasdotto e quindi fortemente legato alle importazioni dalla Russia.
Mentre i numeri dicono che il gas che arriva attualmente in Ue è composto solo per il 7,5% da quello russo e che l’Unione è diventata primo importatore di Gnl al mondo (con gli Usa primo fornitore) per un totale di 30 miliardi di metri cubi, ossia già più di quelli che arrivano tramite gasdotto russo. Quello che vorrebbe fare Bruxelles (e su questo ha il sostegno della maggioranza di Stati, tranne l'Olanda per ovvi motivi) è agganciare il prezzo del gas in euro a indici più attuali (si valuta anche una distribuzione tra il Peg francese, il Psv italiano, lo Zee belga) oppure riferimenti come l’Henry Hub americano o il Brent.
Il Gas e il prezzo dell'elettricità
Il terzo elemento è l’influenza del gas sul prezzo dell’elettricità. Attualmente il mercato europeo è strutturato in un modo che il prezzo finale dell’energia elettrica corrisponde a quello della fonte più costosa. E quindi viene venduta al prezzo del gas anche l’elettricità prodotta da fonti molto meno costose (che possono essere le rinnovabili, il nucleare oppure il carbone).
Questo meccanismo ha portato all’esplosione delle bollette elettriche, trascinate appunto dall’aumento del prezzo del gas anche quando questo nel mix energetico rappresenta una percentuale residua, dall’altra ha favorito la generazione degli extra-profitti.
⛽“The faster we can stop the war, the faster we can start recovering from the economic consequences of the war,” says Valdis Dombrovskis.
— euronews (@euronews) October 7, 2022
We sat down with the EU Trade Commissioner to discuss the price cap on Russian oil.
Watch more: https://t.co/yDnFjJFxZI#GlobalConversation pic.twitter.com/i2OXFau2fU
Per affrontare questa distorsione la Commissione vorrebbe intervenire in via immediata (come soluzione temporanea) con un tetto amministrato al prezzo del gas che serve per generare l’elettricità e, entro l’anno, riformare la struttura del mercato con il disaccoppiamento del costo dal gas dal costo dell’elettricità.
Con questa soluzione, tuttavia, saranno gli Stati a dover versare la differenza tra il prezzo del mercato e il prezzo deciso dal governo e ciò comporterà un peso notevole sulle risorse pubbliche. Da qui l'irritazione contro il piano di aiuti tedesco da 200 miliardi di euro. Si potranno usare i proventi della tassazione sugli extra-profitti ma così facendo l’aiuto pubblico verrebbe spalmato su tutte le utenze e non invece dedicato alle fasce più vulnerabili.
Cosa propongono (alcuni) Stati
Da settimane un gruppo di Paesi, una quindicina, guidato da Italia, Spagna, Polonia e Francia, chiede un tetto al prezzo d’importazione di tutto il gas che arriva nell’Unione europea. Finora la Commissione, e alcuni Paesi - capeggiati dacui Germania, Paesi Bassi e Austria - si sono opposti perché ritengono che la mossa metterà a rischio la fornitura di energia.
Nella lunga fase di negoziati è spuntata negli ultimi giorni una nuova proposta, firmata da Italia, Polonia, Belgio e Grecia, che vorrebbe l’introduzione di un price cap dinamico con un valore centrale (che tenga conto di altri indici quali petrolio, carbone e/o prezzi del gas in Nordamerica e Asia) e che possa avere delle fluttuazioni (ad esempio del 5%) dettate dalle variazioni di domanda e offerta. L’obiettivo principe è tagliare soprattutto i picchi dei prezzi (ci sono stati giorni ad agosto con aumenti di oltre il 20%).
Il cap, secondo i proponenti, dovrebbe essere essere sufficientemente alto e flessibile da consentire all'Europa di attrarre le risorse necessarie, permettendo, se necessario, transazioni al di sopra del corridoio". Allo stesso tempo "dovrebbe essere sufficientemente alto da preservare l'incentivo al risparmio energetico e la transizione dal gas", insomma non deve favorire l’aumento della domanda e di conseguenza mettere sotto pressione la fornitura.
I quattro bocciano invece il price cap solo sul gas utilizzato per l'energia elettrica. Le loro motivazioni: “Ignora i due terzi del mercato del gas, che è nell'industria e nell'edilizia; crea una passività senza un chiaro limite verso l'esterno (poiché il prezzo all'importazione può continuare a salire, richiedendo più risorse per mantenere il tetto massimo); crea disincentivi alla riduzione dei prezzi (gli importatori saranno compensati per qualsiasi prezzo pagano) e, infine, se il cap del gas è troppo basso, attiverà una domanda aggiuntiva eccessiva; se troppo alto, probabilmente dovrà essere integrato da un sostegno finanziario aggiuntivo a livello di vendita al dettaglio per mantenere i prezzi accessibili".
Non è escluso che un punto di incontro tra i vari fronti possa essere quello di utilizzare il price cap dinamico nella contrattazione con i partner affidabili durante i processi di acquisti comuni.