AGI - La Corte Suprema degli Stati Uniti si pronuncerà a breve sulla responsabilità dei social network per i contenuti dei loro utenti. Lo scrive il Paìs nel sottolineare che il tribunale dovrà decidere se alcuni video di YouTube abbiano incitato o meno gli attacchi dello Stato Islamico a Parigi nel 2015, come denunciato dai familiari di una delle vittime.
A querelare Google per YouTube sono stati i parenti di Nohemi Gonzalez, una studentessa universitaria americana di 23 anni tra le 131 persone uccise dai terroristi dello Stato Islamico a Parigi, il 13 novembre 2015. La ragazza fu uccisa in un ristorante dove stava cenando. I tribunali di primo grado hanno dapprima respinto la richiesta, ma la famiglia ha presentato ricorso alla Corte di Cassazione che l’ha ammesso.
Secondo il Paìs, tuttavia, “la legge statunitense afferma che le società Internet non sono di fatto responsabili del contenuto pubblicato dai loro utenti, ma la questione è diventata controversa per vari motivi”. Diversi autori di azioni terroristiche hanno infatti “trasmesso le loro azioni in diretta” quindi “i contenuti delle reti sono diventati immediato oggetto di propaganda politica”.
La famiglia Gonzalez critica YouTube perché il social “non si limita a un ruolo passivo nel consentire agli utenti di cercare cosa vedere, ma il suo algoritmo consiglia video in base al profilo di ciascun utente”. Con ciò, “coloro che hanno guardato video di propaganda islamista hanno anche ricevuto più contenuti di questo tipo, facilitando la loro radicalizzazione”, sostiene la famiglia Gonzales, che si lamenta del fatto che Alphabet, società del gruppo Google, “abbia consentito la diffusione di video di propaganda radicale che incitavano alla violenza”.
Quindi "se la sezione 230”, ovvero la regola che in linea di principio solleva le aziende dalla responsabilità per il contenuto dei loro utenti, “si applica a queste raccomandazioni generate dagli algoritmi, essa è di enorme importanza pratica", ha affermato la famiglia, perché "i servizi informatici interattivi indirizzano costantemente tali raccomandazioni, in una forma o nell'altra, praticamente a ogni adulto e bambino negli Stati Uniti che utilizza i social media". La famiglia della vittima ritiene che Google abbia violato la legge antiterrorismo consentendo la diffusione di questi video.
Quanto a Google, la società ribatte che l'unico collegamento tra gli attacchi di Parigi e YouTube era che uno degli aggressori è stato un utente attivo della piattaforma e una volta è apparso in un video di propaganda dell'Isis. "Questa corte non dovrebbe prendere alla leggera una lettura della sezione 230 che minaccia le decisioni organizzative di base della moderna rete Internet", dice Google.
In ogni caso, conclude il Paìs, la discussione e sentenza daranno un primo contributo a una “battaglia che si estende sull'immunità che le aziende dovrebbero o non dovrebbero consentire rispetto ai contenuti dei loro utenti e, allo stesso tempo, anche sul margine che loro stesse hanno in termini di moderazione”. Diversi giudici della Corte Suprema, inclusi i conservatori Clarence Thomas e Samuel Alito, avevano già espresso il loro interesse ad ammettere casi sulla moderazione dei contenuti di Internet, scrive il giornale.