AGI - La confusione regna ancora in Burkina Faso. A tre giorni dal colpo di stato messo in atto dagli uomini del capitano Ibrahim Traorè, comandante delle forze speciali anti terrorismo, la situazione sembra essere un po’ più chiara, anche se le discussioni tra i nuovi golpisti e i vecchi, proseguono, soprattutto sulla sicurezza del paese, il nodo che ha portato Traoré a destituire il suo compagno d’armi Paul-Henri Sandaogo Damiba.
Ma i nuovi golpisti devo fare i conti anche con l’opinione pubblica che ha manifestato il sostegno al secondo golpe, anche domenica, invocando la cacciata della Francia dal paese e un’apertura più determinata alla Russia.
I manifestanti, in piazza, hanno portato sia le bandiere del Burkina Faso sia quella della Russia invocata come una possibile salvatrice della patria, e hanno fatto oggetto di lanci di pietre l’ambasciata francese nella capitale Ouagadougou.
In Burkina Faso, paese flagellato dai gruppi jihadisti che, ormai, controllerebbero la metà del paese, sta accadendo ciò che è avvenuto nel vicino Mali dove i golpisti – anche in questo paese ci sono stati due colpi di stato in rapida sequenza – sono riusciti, con il sostegno di Mosca a “cacciare” la Francia presente nel paese con l’operazione Barkhane, a sfilarsi dalla colazione anti terrorismo G5 Sahel e ad aprire in maniera più decisa al sostegno offerto dai russi.
È noto, ormai, che all’interno dei confini del paese operano i mercenari della Compagnia Wagner, anche se Bamako nega. In Burkina Faso sta accadendo la stessa cosa. Il sentimento anti francesi che aleggia in tutto il Sahel sta sempre più prendendo piede anche in questo paese.
Non è un caso che pochi giorni prima del colpo di stato l’ormai ex golpista Damiba, abbia incontrato, a margine dell’assemblea generale delle Nazioni Unite, il ministro degli esteri russo, Sergei Lavrov, per stringere accordi sul piano militare. Da mesi, infatti, il Burkina Faso si riservava di diversificare le proprie partnership, anche a costo di “offendere i partner storici. Sono molte le domande da porsi sulle relazioni con la Francia”.
Parole dell’ex presidente del Consiglio di transizione burkinabé. Ora si tratta di capire se il capitano Traoré proseguirà su questa strada, assecondando il sentimento russo diffuso nell’opinione pubblica del suo paese. Intanto i dialoghi serrati di domenica hanno portato alle dimissioni “volontarie” di Damiba evitando, così, rischi di scontri all’interno dell’esercito.
I negoziati si sono svolti in due fasi. In primo luogo, era necessario evitare un confronto tra i sostenitori del capitano Traoré e quelli del tenente colonnello Damiba. Cosa che avrebbe potuto innescare una guerra civile che avrebbe fatto piombare il paese nel caos più totale, con un rafforzamento delle compagini jihadiste.
Questa mina è stata disinnescata non tanto dai militari, ma dai capi tradizionali e religiosi del paese. L’obiettivo è stato raggiunto, occorre capire se durerà e quanto. L’ex golpista Damiba ha messo sul tavolo, inoltre, diverse condizione per le sue dimissioni.
Innanzitutto il proseguimento delle operazioni militari sul campo, la garanzia della sicurezza e della non perseguibilità dei militari che lo hanno affiancato dal primo colpo di stato in poi, il rafforzamento della coesione all’interno delle forze di sicurezza, la garanzia che il governo di riconciliazione possa continuare a lavorare, il rispetto degli impegni assunti con la Comunità economica dell’Africa Occidentale (Ecowas) – in altre parole, il rispetto dei termini che dovrebbero portare al ritorno all’ordine costituzionale - il perseguimento della riforma dello Stato e, infine, la garanzia della sua sicurezza e dei suoi diritti, nonché quelli dei suoi collaboratori.
Le dimissioni di Damiba sono il frutto dell’accettazione di tutte queste condizioni. Rimangono sul tavolo negoziale tre questioni di non poco conto: la riorganizzazione dell’esercito, la tabella di marcia per la transizione e la scelta di un presidente civile o militare. I mediatori, che sono gli alti ufficiali dello stato maggiore delle forze armate burkinabé, tuttavia devono fare i conti con l’opinione pubblica del paese orientata verso la Russia.
Un’opzione sempre più reale in tutto il Sahel che è cresciuta proprio dopo l’invasione di Mosca dell’Ucraina. Anche in Africa è in atto, magari con meno evidenza, uno scontro tra occidente e est del mondo, che si traduce, nel Sahel, tra la Francia e la Russia.
Ma non tutti gli alti ufficiali burkinabé seguono l’opinione pubblica e sono in molti coloro che deplorano le manifestazioni di piazza a favore di Mosca. Questo, sì, è un nodo da sciogliere. Sostengono che il Burkina Faso non è quello che si è visto nelle manifestazioni e che anche in momenti di crisi il paese deve mantenere la sua dignità.
Di sicuro il varco nel quale si può infilare la Russia, si è aperto. Nel deplorare il nuovo colpo di Stato in Burkina Faso, le cancellerie occidentali sono preoccupate proprio da questa tendenza anti francese e vedono come un pericolo la crescente influenza russa in tutta la regione.
Mosca si è già presa un pezzo dell’impero francese, prima la Repubblica Centrafricana, poi il Mali e ora non nasconde le sue mire sul Burkina Faso. Per l’occidente questa è una minaccia che non può essere trascurata.