AGI - Dopo che una donna di mezza età, a gennaio, è risultata positiva al Covid-19 in ufficio a Fairbanks, gli operatori sanitari hanno cercato di avere risposte a domande cruciali su come si stesse diffondendo il virus nel cuore profondo dell'Alaska. La signora non era vaccinata, è stata ricoverata in ospedale ma si è poi ripresa, racconta il New York Times.
Tuttavia, la maggior parte delle informazioni sulla donna di Fairbanks - e su altre decine di milioni di americani infetti - rimangono effettivamente inutilizzabili per gli epidemiologi statali e federali perché “decenni di investimenti insufficienti nei sistemi informativi di salute pubblica hanno paralizzato gli sforzi per comprendere la pandemia, bloccando dati rilevanti in sistemi di dati incompatibili così antiquati che spesso le informazioni devono essere digitate ripetutamente a mano”.
Riferisce il Times: “I dettagli del caso di Fairbanks sono stati distribuiti in più database statali, nessuno dei quali si collega facilmente agli altri, tanto meno ai Centers for Disease Control and Prevention, l'agenzia federale incaricata di tracciare il virus. Nove mesi dopo essersi ammalata, le sue informazioni erano in gran parte inutili per gli epidemiologi perché era impossibile sintetizzare e incrociarne la maggior parte con i dati dei circa 300 mila altri abitanti dell'Alaska e sugli oltre 95 milioni di americani che hanno contratto il Covid”, tant’è che “quegli stessi sistemi di dati antiquati stanno ora ostacolando la risposta all'epidemia di vaiolo delle scimmie”, chiosa il quotidiano.
Lo squilibrio è dovuto al fatto che se da una parte il governo federale ha investito molto negli ultimi dieci anni per modernizzare i sistemi di dati degli ospedali privati e degli operatori sanitari, distribuendo oltre 38 miliardi di dollari in incentivi per passare alle cartelle cliniche elettroniche, dall’altro lato “i dipartimenti sanitari statali e locali sono stati in gran parte lasciati con gli stessi fax, fogli Excel, e-mail e telefoni per comunicare”. La pandemia non ha fatto nient’altro che mettere a nudo le conseguenze di quest'abbandono.
Il caso estremo si è verificato lo scorso dicembre, quanto di fronte alla diffusione a macchia d'olio della variante altamente contagiosa Omicron, i funzionari federali hanno avuto urgente bisogno di sapere se Omicron sarebbe stata più letale della variante Delta che lo aveva preceduto e se gli ospedali sarebbero presto stati inondati di pazienti: “Ma non sono stati in grado di ottenere la risposta dai dati di test, ricoveri o decessi, perché non si è riusciti a distinguere sufficientemente i casi per variante”.
Un virus nel virus: il rispetto della privacy che protegge i dati sanitari
Il risultato è che a quasi due anni dalla somministrazione dei primi di Covid, l'agenzia federale incaricata di tracciare il virus (Cdc) non ha ancora dati nazionali sui casi che si sono verificati e “uno dei motivi principali è che molti stati e località, citando problemi di privacy, eliminano nomi e altre informazioni identificative da gran parte dei dati che condividono con il Cdc, rendendo impossibile per l'agenzia capire se un dato paziente Covid è stato vaccinato o meno”.
La questione ora si ripropone, perché quando il 18 maggio è stato confermato il primo caso di vaiolo delle scimmie negli Stati Uniti, i funzionari sanitari federali si sono preparati ad affrontare un altro gap di informazioni: “Le autorità federali non possono generalmente richiedere dati sulla salute pubblica da stati e località perché li proteggono con zelo”, ciò che ha reso più difficile organizzare una risposta federale a una nuova malattia – il vaiolo delle scimmie – che ora si è diffusa tra quasi 24.000 persone a livello nazionale.
E per scoprire quante persone venivano vaccinate contro il vaiolo delle scimmie, il Cdc è stato costretto a negoziare accordi di condivisione dei dati con le singole giurisdizioni, proprio come ha dovuto fare per il Covid.
La conclusione di tutto ciò è che “lo sforzo per documentare il caso di Covid della donna di Fairbanks, in Alaska, mostra quanta strada debbano ancora fare molti dipartimenti sanitari” per arrivare ad uno standard minimo di qualità.