AGI - L’orrore non ha limiti in un Mozambico squassato dal terrorismo jihadista, in particolare nella regione del Nord di Cabo Delgado. Dopo un periodo di relativa calma gli attacchi dei gruppi armati sono ripresi. E l’uccisione della suora italiana appartenente all’ordine Comboniano, Maria Coppi, a Chipete, nel nord del Paese, ne è la riprova.
Ora, tuttavia, non è solo la provincia del nord ad essere sotto assedio. I jihadisti, dopo aver ripreso vigore, si stanno spingendo verso il centro del Paese. Nei mesi scorsi è stata colpita la località di Nampula, nel distretto di Erati, passato il quale si arriva nel nord del paese, nella provincia di Cabo Delgado.
Il Nord del Paese è una regione dimenticata dallo Stato, dove si fatica a vivere e ad arrivare a fine giornata. La povertà è dilagante. Ma Cabo Delgado è ricca di risorse, paradiso delle multinazionali del petrolio. Qui agisce e opera un gruppo jihadista che inizialmente si faceva chiamare al-Shabaab “i giovani”, come il gruppo jihadista somalo, ora è più noto come Al-Sunna wa Jama’a (Aswj) che hanno spinto più di 700 mila persone a fuggire dalle loro case e provocato più di 3mila morti dall’inizio del conflitto.
Non è chiaro, tuttavia, se e quali legami esistano tra i due gruppi. Di certo la versione mozambicana fa riferimento all’Isis, mentre quella somala ad al Qaeda. Tanto che nel rendere note le sue azioni fa sfoggio di passamontagna e drappi neri tipici dello Stato islamico.
La ferocia, poi, è tipica di questi gruppi. L’affiliazione all’Isis, non è verificabile, potrebbe essere semplicemente emulazione e una sorta di “libero franchising”. L’inizio, anche un po’ sgangherato, delle azioni terroristiche di questo gruppo, lo si fa risalire al 5 ottobre 2017 quando vennero attaccate tre stazioni di polizia nella città di Mocimboa da Praia. Da lì inizia una spirale di violenza in un’area periferica, tradizionalmente tranquilla ed economicamente depressa, tra le più povere del paese.
Gli attacchi dei jihadisti sono ripresi con la medesima ferocia. Il conflitto armato tra gli insorti jihadisti e il governo del Mozambico ha esacerbato la già grave carenza di cibo a Cabo Delgado, in cui si ricorda che questa è una delle quattro province mozambicane con il maggior numero di persone che soffrono di grave insicurezza alimentare. “Le violenze a Nangade e in altri distretti di Cabo Delgado evidenziano la necessità che le autorità mozambicane diano la priorità alla protezione dei civili e alla salvaguardia dei mezzi di sussistenza in tutta la provincia assediata – si legge in una nota di Human Rights Watch -. Le autorità dovrebbero garantire che le persone in fuga dalla violenza possano trovare rifugio sicuro con accesso adeguato ai servizi di base, lontano dalle aree di combattimento”.
Il governo, in più riprese, ha sferrato dure offensive contro i gruppi terroristici, ma con successi alterni, riprendendosi territori occupati dai jihadisti, per poi riperderli. In molte occasioni ha fatto affidamento sui mercenari provenienti dall’estero: i Wagner, russi, e mercenari provenienti dal Sudafrica. Operazioni che non hanno avuto grande successo. I mercenari hanno fallito e il governo di Maputo sembra essere impotente, ma da quelle parti le multinazionali hanno investito miliardi di dollari per l’estrazione del gas. Hanno dovuto interrompere le attività, con perdite milionarie, e sono poco disposte a tollerare l’inattività dello Sato. I soldi in ballo sono davvero troppi. E il governo sotto pressione che cosa fa? Chiede aiuto agli stranieri, ma questa volta agli Stati, non ai mercenari.
Ecco che in soccorso di un Mozambico stremato, incapace di proteggere la sua popolazione, ma soprattutto gli interessi stranieri, sono arrivate le truppe del Rwanda, ben addestrate e disciplinate, anche loro, forse, desiderose di mettere una bandierina sul gas di Cabo Delgado. Si crea un asse Nyusi- Kagame. In pochi giorni le truppe ruandesi conquistano Mocimboa da Praia, porto strategico e roccaforte dei gruppi armati dal 2017, mettendo al sicuro le aree di interesse economico. E la francese Total ringrazia.
Dopo la vittoria ruandese nell’area sono arrivate anche le truppe della Comunità di sviluppo dell’Africa meridionale (Sadc), sbarcate in pompa magna a Pemba e accolte dal presidente mozambicano Filipe Nyusi. Rimane inevasa una domanda: che prezzo dovrà pagare Maputo per questo regalo inaspettato? Ma ciò che inquieta ancora di più è che della gente non si interessa nessuno, persone che continueranno a subire le scorribande dei miliziani, perché i jihadisti non sono stati sconfitti e gli ultimi avvenimenti sono lì a dimostrarlo, tanto che le missioni militari sono state prolungate a tempo indeterminato. È opinione di molti analisti che la ripresa degli attacchi jihadisti abbia una caratteristica “politica”, cioè si sono intensificati proprio dopo l’annuncio della Sadc, durante la riunione di Kinshasa del 18 agosto, del rinnovo della missione in Mozambico.
Il Nord del Mozambico è una regione complessa. Ha sofferto molto durante la guerra di indipendenza (1964-1974) e durante quella civile (1977-1992) ed è una delle aree più trascurate del paese. A livello nazionale, ha i più elevati tassi di analfabetismo, diseguaglianza e malnutrizione infantile.
È una delle poche provincie a maggioranza musulmana – mentre il resto del paese è cristiano – ma è un Islam che, da sempre, segue una tradizione sufi moderata. Il Mozambico, dopo aver cercato di minimizzare la minaccia, si è rivolto all’estero così da rassicurare gli investitori stranieri che hanno investito miliardi di dollari per lo sfruttamento dei giacimenti petroliferi del Nord. Insomma, il popolo rimane ancora una volta sullo sfondo. Un altro Mozambico.