AGI - “La questione delle abitazioni”, come già scriveva il filosofo Frederick Engels nel suo storico saggio del 1887, continua a non trovare soluzione a 135 anni esatti di distanza. Abitare dove, come e perché è sempre stato e continua ad essere un problema. Mancano gli spazi adatti, le case giuste e soprattutto economiche. Perciò architetti e costruttori sono sempre alla ricerca di soluzioni possibili per l’abitare. Tant’è che lo Studio Burr di Madrid, come racconta il Paìs, si è specializzato nel riciclare capannoni industriali per trasformarli in luoghi in cui vivere e lavorare.
Una soluzione che se dal punto di vista estetico, degli spazi interni, della ubicazione, può essere consona e vantaggiosa, non sempre lo è anche dal punto di vista economico e alla portata delle tasche comuni. I capannoni, infatti, “finiscono per essere per lo più demoliti per costruire al loro posto blocchi di appartamenti”, riferisce il quotidiano madrileno, mentre la perdita del patrimonio industriale delle città ha molto spesso a che fare anche con la speculazione immobiliare.
“Il prezzo dei terreni per fabbricati industriali raddoppia o triplica quando si cambia la classificazione della sua destinazione d'uso, da industriale a residenziale. E il problema è che per effettuare questo cambio d'uso bisogna demolire i capannoni”, spiega l'architetto Elena Fuertes, co-fondatrice dello studio Burr di Madrid.
Quindi per evitare che questo tipo di architettura sparisca, i componenti di Burr Studio - gli architetti Ramón Martínez, Álvaro Molins e Jorge Sobejano, nonché Elena Fuertes – si sono impegnati per riuscire a dimostrare che questi edifici sono ancora utili nella società odierna. E hanno avviato alcune operazioni di recupero. Perché, come spiega lo stesso architetto Ramòn Maryinez, oggigiorno è sempre meno chiaro dove inizia la sfera domestica e finisce quella produttiva, e quindi gli edifici industriali sono proprio un buon luogo per conciliare queste due sfere.
Anche se per le sue dimensioni, ci sono persone le quali troverebbero una nave forse più interessante di semplice un appartamento. “Con la pandemia il confine tra casa e lavoro è scomparso, ma non tutti noi siamo impiegati. Ci sono professionisti che, per il tipo di attività che svolgono, necessitano di uno spazio diverso da quello offerto da una casa tradizionale”.
“Salvare il patrimonio industriale urbano non impedisce solo la scomparsa di un'architettura interessante. Anche le città non sono poi così omogenee e nei quartieri il residenziale si mescola con il produttivo o il commerciale al posto di attività che si svolgono invece in diverse zone della città”, spiega Elena Fuertes. “Assegnare questi magazzini a grandi spazi culturali per i cittadini può essere molto utile, ma perché non utilizzare spazi così importanti per l'attività produttiva delle città per ospitare altre attività produttive non inquinanti come quella, per esempio, di un fotografo?”
La "questione abitazioni" resta sempre aperta
L’ultimo progetto dello Studio Burr Si chiama “Isabelita” ed è entrato a far parte di Elements for Industrial of Recovery , che consisteva nella riconversione di una vecchia officina meccanica nello studio dell'artista Teresa Solar, l'unica artista spagnola insieme a June Crespo ad aver partecipato alla mostra principale della nuova edizione della Biennale di Venezia. Il merito di Burr Studio è che, oltre a ristrutturare i capannoni in modo che possano ospitare i loro nuovi usi, il team fa di tutto per tornare alla loro architettura originaria, modificata per le altre attività e attività che in esse si sono sviluppate nel corso degli anni.
Il quotidiano di Madrid si chiede un po’ provocatoriamente nel titolo se ciascuno di noi sarebbe disposto a vivere in un capannone industriale. La risposta degli architetti, ovviamente è che loro vedono solo vantaggi. Ma vantaggi per chi, poi? Il mondo è bello perché vario, ma quanti se lo possono permettere di vivere in uno spazio dell’archeologia industriale appositamente riattato? Non certo la classe media. Più probabilmente liberi professionisti, artisti, enti, società, istituzioni culturali. Che possono permettersi di acquistarli o di pagare un lauto affitto.
Non a caso il Paìs ricorda che “per i politici megalomani sono una chicca, ma la maggior parte degli edifici industriali abbandonati dopo lo spostamento della produzione industriale nelle periferie delle città di solito non hanno la fortuna di musei come il Tate Modern di Londra (ubicato in un'ex centrale elettrica) o dello spazio culturale Matadero di Madrid (ospitato nel vecchio mattatoio di Legazpi)”. I quali, appunto, se lo possono permettere. E così quella complessiva delle “abitazioni” continua a rimanere una “questione” aperta. Dai tempi di Marx ed Engels.