AGI - Come il predatore evocato dallo spyware usato dall’intelligence per ascoltare il capo del partito socialista, il premier greco Kyriakos Mitsotakis non molla la sua presa sul governo, si difende in Parlamento da quello che definisce “un errore” dei servizi segreti, e scandisce di non avere nessuna intenzione di dimettersi.
È venerdì mattina nell’aula del Parlamento di Atene, e la temperatura è più calda di quella fuori, sotto il cielo nuvoloso di piazza Syntagma. A chiedere la seduta è stato Alexis Tsipras, leader di Syriza, il maggior partito di opposizione, che ha sollecitato il premier a riferire in aula sulla vicenda da un mese scuote la politica greca.
I fatti sono noti: i servizi hanno tentato di spiare il leader del Pasok, Nikos Androulakis, inserendo nel suo smartphone il programma Predator, tarlo informatico creato dalla Cytrox, software house della Macedonia del Nord, che si scava un nido nei cellulari e può attivarne fotocamera e microfono per ascoltare tutto, dalle conversazioni telefoniche a quelle faccia a faccia, ma anche per leggere tutto, messaggi e documenti.
Lo scandalo è esploso a fine luglio, quando Androulakis, che è eurodeputato, ha scoperto, grazie a una scansione del suo telefono fatta a Strasburgo, il tentativo di violazione effettuato con il Predator nell’autunno 2021, durante la corsa per la leadership del partito socialista.
Il presidente del Pasok ha denunciato con forza la vicenda: “Se ero pericoloso per i servizi da eurodeputato, non lo sono ancora di più adesso da leader socialista?”, si è chiesto, ed è partito all’attacco del premier, accusato di aver tentato di prendere il Pasok “in ostaggio” cercando di captare le sue conversazioni. Androulakis ha sfidato Mitsotakis a “dire pubblicamente tutta la verità davanti al popolo greco”.
Ma il primo ministro non ha raccolto il guanto. Inizialmente ha cercato di minimizzare sostenendo di non essere a conoscenza del tentativo di intercettazione. Il che, verrebbe da dire, sembra una toppa peggiore del buco, visto che è stato proprio Mitsotakis, poco dopo il suo insediamento, a sottoporre i servizi segreti al controllo diretto del premier.
Alla denuncia di Androulakis sono seguite quelle dei giornalisti Thanasis Koukakis e Stavros Malichudis, pure loro bersaglio del Predator. A ruota si sono dimessi il capo dei servizi, Panagiotis Kontoleon, e il segretario generale della presidenza del Consiglio, Grigoris Dimitriadis, che tra l’altro è nipote di Mitsotakis.
Capri espiatori che non bastati a placare le acque, con Syriza e il Pasok intenzionati a usare lo scandalo per disarcionare il premier. Manovra che si è però infranta contro l’inespugnabile resistenza del premier, politico consumato e figlio d’arte formatosi alla scuola del padre Kostantinos, leader premier dal 1990 al 1993 e leader del partito di centrodestra Nea Demokratia, ora saldamente nelle mani di Kyriakos.
Il capo del governo in Parlamento ha ripetuto la tesi della sua totale estraneità ai fatti, a attribuito questo “errore” interamente ai servizi segreti, che però ha sapientemente difeso, sottolineando che “un solo errore non può cancellare il loro lavoro incessante per la sicurezza del Paese”, e ha respinto al mittente la richiesta di pagare il conto politico dello scandalo.
“Mi assumerò l’onore di guidare il Paese verso un porto sicuro. Non scapperò, non mi sottrarrò alla responsabilità affidatami dal popolo. Supereremo insieme questo difficile inverno. E alla fine del mandato di quattro anni, competeremo l'uno contro l'altro", ha affermato in Parlamento venerdì, con l’abilità retorica del politico consumato.
Insomma, niente dimissioni e niente elezioni anticipate. In Grecia si voterà come previsto l’anno prossimo. Ma c’è da giurare che non è finita qui e che il vento dello scandalo continuerà a soffiare: “C’è del marcio in Grecia”, titolava qualche giorno fa il New York Times, commentando con eco shakespeariana il caso Predator.