AGI - Anthony Fauci lascia la scena. L'immunologo più ascoltato, amato, seguito e contestato d'America, il consulente di sette presidente degli Stati Uniti lascerà a fine dicembre l'incarico di consigliere della Casa Bianca e direttore del National Institute of Allergy and Infectious Diseases, l'agenzia federale che si occupa di epidemie e che Fauci ha guidato per 38 anni.
L'annuncio era atteso: da mesi l'immunologo di origine italiana, 81 anni, aveva parlato del suo imminente ritiro. Ma, come ha detto in una recente intervista televisiva, non andrà in pensione "nel senso classico del termine": viaggerà, scriverà e farà da ambasciatore della pubblica amministrazione per invogliare i giovani a lavorare per i servizi governativi, a cominciare da quelli che si occupano di contrastare le pandemie.
"Sto bene - ha detto - mi sento pieno d'energia, per cui voglio muovermi in un ambito che non sia quello governativo". La sua decisione, come nell'ultimo periodo della carriera, ha provocato reazioni opposte.
Il presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, lo ha ringraziato ufficialmente, definendolo un "appassionato servitore dello Stato e una guida ferma nel segno della saggezza". Fauci e Biden avevano lavorato a stretto contatto già durante la pandemia globale del virus Zika, quando Biden era vicepresidente.
Donald Trump non ha ancora commentato, ma non è difficile immaginare che sia contento dell'uscita di scena di Fauci. Il loro rapporto, durante l'emergenza della pandemia da Covid, non è mai decollato, nonostante Fauci avesse lavorato fin dal 1984 in amministrazioni sia repubblicane sia democratiche.
Quando nell'ultimo dibattito presidenziale, nel 2020, Trump disse al suo sfidante, Biden, che Fauci sarebbe potuto essere un liberal, non era stata l'unica volta in cui lo aveva attaccato pubblicamente. Dopo che il 20 gennaio 2020 era stato trovato il primo caso di Covid nello Stato di Washington, l'immunologo aveva sostenuto la necessità di avviare subito restrizioni ai viaggiatori in arrivo da fuori, e sempre lui aveva messo in guardia dall'emergenza che avrebbe atteso l'America.
Parole apparse in contrasto con quelle di Trump, secondo il quale, come disse il 10 febbraio, la pandemia "sarebbe andata via entro aprile" con l'arrivo dei primi caldi. Tempo un mese e i rapporti erano precipitati.
L'allora presidente aveva tuonato contro i Democratici per aver "politicizzato" l'emergenza sanitaria, e tra i bersagli delle sue critiche c'era Fauci, che non perdeva occasione per confermare la gravità della situazione. Il giorno in cui Trump aveva magnificato gli effetti dell'idroclorichina come cura, il volto di Fauci, contratto nel tentativo di soffocare una risata di incredulità, era finito sui social e sui siti dei media di tutto il mondo.
Da quel momento niente è più tornato indietro. Per l'America trumpiana e no vax Fauci era diventato il simbolo di tutte le restrizioni, dall'obbligo di indossare la mascherina al pass vaccinale per accedere nei posti.
L'anno scorso Trump ha confessato di "non aver mai ascoltato" i consigli dell'immunologo, liquidandolo al rango di ciarlatano al servizio di una sola parte politica. In realtà pochi scienziati hanno avuto un impatto così duraturo sulla politica sanitaria di un Paese come Fauci, entrato per la prima volta al National Institute of Health nel 1968, quando alla Casa Bianca c'era presidente Lyndon Johnson.
L'immunologo è stato il consigliere di sette presidenti, a cominciare da Ronald Reagan. Tra i lavori di cui ha detto di essere orgoglioso è stato il piano sviluppato con il presidente George W. Bush per contrastare l'Aids, un progetto chiamato Pepfar che, secondo le stime dell'amministrazione americana, ha finito per salvare almeno ventuno milioni di vite umane.
Il padre di Bush lo chiamò "eroe" durante un dibattito presidenziale avvenuto nel 1988. Vent'anni dopo Fauci ricevette la Presidential Medal of Freedom, la massima riconoscenza pubblica a cui può ambire un cittadino americano.