AGI - Mentre il 24 febbraio le prime colonne di mezzi militari russi entravano in territorio ucraino, centinaia di chilometri sopra di loro gli occhi e le orecchie della Nato prendevano nota di ogni movimento e comunicazione fosse possibile rilevare. Le posizioni delle batterie d'artiglieria, gli spostamenti delle truppe, i danni inflitti e ricevuti venivano documentati da milioni di immagini, poi convertite in rapporti di intelligence per le autorità militari e civili.
I satelliti spia militari sono una parte fondamentale dell'arsenale degli eserciti più sofisticati sin dalla Guerra Fredda. All'epoca le informazioni venivano impresse su una pellicola che, inserita in una capsula e rispedita sulla Terra, doveva essere recuperata da un velivolo che l'avrebbe poi portata in laboratorio. Perché le immagini catturate diventassero disponibili potevano occorrere settimane. E i satelliti, le cui prestazioni erano limitate dalla quantità di pellicola che riuscivano a trasportare, diventavano inutilizzabili dopo meno di un mese. Russi e americani erano quindi costretti a lanciare nuovi satelliti nello spazio a cadenza regolare.
Oggi durano anni, se non decenni. La recente, rapidissima evoluzione delle tecnologie laser e digitali consente ora di raccogliere enormi quantità di dati con una precisione un tempo inconcepibile. Il risultato è uno spazio sempre più affollato, dove la coesistenza di apparecchi facenti capo a nazioni avversarie pone sfide per la sicurezza le cui implicazioni non sono semplici da prevedere.
La leadership degli americani
In questo campo, la posizione di vantaggio degli Stati Uniti è inequivocabile. Secondo i dati dell'azienda specializzata Dewesoft, in totale intorno al pianeta orbitano 4.550 satelliti (la distinzione tra militare e civile ha poco valore, dal momento che satelliti civili vengono spesso utilizzati per lo spionaggio), 2.900 dei quali di proprietà statunitense.
Di questi solo circa 150 hanno specifica natura militare e appartengono all'aeronautica e al National Reconnaissance Office, l'organo che si occupa in modo esplicito dei satelliti spia e trasferisce dati e immagini a Pentagono, Consiglio di Sicurezza Nazionale, Dipartimento di Stato e agenzie di intelligence. Russia e Cina, rispettivamente, hanno 125 e 129 satelliti militari, un numero molto inferiore, sebbene quasi raddoppiato in pochi anni.
Seguono, con meno di dieci satelliti militari, Colombia, Danimarca, Francia, Germania, Giappone, India, Italia, Messico, Regno Unito, Spagna e Turchia. Il vantaggio strategico degli Stati Uniti non sta solo nel numero di apparecchi e nella tecnologia ma anche nell'essere gli unici a poter contare su "stazioni staffetta" disseminate nello spazio.
Quando un satellite passa sopra una stazione di terra, ha infatti solo tra i 5 e i 10 minuti per trasmettere le informazioni prima di allontanarsi troppo. Qua entrano in gioco le "stazioni staffetta", che scaricano le informazioni e le trasmettono sulla Terra.
"Le immagini sono piuttosto grandi, circa un gigabyte per 'scena', e le scattano 24 ore al giorno, quindi lo spazio si riempie", spiega a Deutsche Welle Pat Norris, ingegnere della Nasa che lavorò per il programma Apollo 11, "gli americani hanno satelliti staffetta nello spazio così possono scaricare l'immagine non appena è stata scattata".
"Russia e Cina hanno dei limiti, almeno fino a un certo punto", aggiunge Norris, "così come li hanno europei e israeliani, perché, senza i satelliti staffetta opportuni, devono scaricare le immagini non appena i satelliti giungono sopra una stazione amica".
L'enorme traffico di satelliti 'civili'
Ulteriori sinergie, anche implicite, sono consentite dall'elevatissimo numero di satelliti civili Usa in orbita. Basti pensare alla SpaceX di Elon Musk, il singolo maggior operatore di satelliti al mondo con 1.655 dispositivi, quasi tutti parte della galassia Starlink, che ha avuto un ruolo importante nel mantenere la stabilità della connessione internet in Ucraina dopo l'inizio della guerra contro la Russia.
"Dal punto di vista tecnico, il confine è diventato molto labile e i migliori satelliti civili stanno catturando immagini che meno di venti anni fa sarebbero state disponibili solo per il personale militare", aggiunge Norris. Ciò rende ogni singolo satellite in orbita un potenziale obiettivo, nel caso di un conflitto esteso oltre la linea di Karman.
"Ogni Paese in grado di lanciare satelliti è in grado anche di distruggerli lanciando un oggetto che li colpisca", prosegue l'esperto, "e ci sono Paesi che l'hanno dimostrato, si dice che America, Cina e Russia lo abbiano fatto". La grande quantità di satelliti potrebbe scoraggiare iniziative simili, in particolare se dirette contro gli Stati Uniti.
"Se però alcuni Paesi mettessero armi nello spazio, ciò potrebbe dare il via a un'escalation", prosegue Norris, "verrebbe violato il Trattato sullo Spazio Esterno e, una volta accaduto ciò, chissà cosa potrebbe accadere".
Una prospettiva non imminente ma decisamente realistica, come dimostra la decisione dell'ex presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, di costituire una "US Space Force", stabilendo che Washington non consentirà a nessun altro di avere un'influenza dominante sullo spazio cislunare. Una determinazione che segna il futuro dell'esplorazione spaziale. L'accordo Artemis, che prevede il ritorno sulla Luna entro il 2024, e la corsa a Marte non potranno infattti che svilupparsi sotto l'occhio vigile della US Space Force.