AGI - La popolazione libica vuole andare al voto il prima possibile ma il processo elettorale è frenato, oltre che dai conflitti interni, dalla presenza di Paesi stranieri che li alimentano per i loro interessi. Il portavoce del Governo di Unità Nazionale (Gnu) di Tripoli, Mohamed Hamuda, durante la conferenza stampa "Nuove strade per la stabilità del Mediterraneo, una prospettiva dalla Libia", presso la sala Nassiriya del Senato, nega che a mettersi di traverso sia anche l'esecutivo guidato da Abdul Hamid Dbeibah. "Il Gnu continua a lavorare per le elezioni", ha affermato il portavoce, "se qualcuno pensa che intendiamo farle saltare, non è vero: aspettiamo le indicazioni dell'autorità elettorale".
"Non siamo divisi fra Est e Ovest, la Libia è un unico popolo che con il tempo si è amalgamato insieme", ha sottolineato Hamuda, "c'è un conflitto per il potere dovuto alla mancanza di istituzioni politiche solide e ci sono Paesi esterni che vogliono realizzare i loro interessi personali senza chiedere ai libici cosa vogliano. Tre milioni di persone hanno preso la tessera elettorale, i libici vogliono votare".
Le sfide della sicurezza
Dall'immigrazione alla ripresa del settore petrolifero, dalla crisi in Ucraina alla cooperazione nel Mediterraneo, sono numerosi i temi affrontati da Hamuda, che si è reso disponibile a rispondere ad alcune domande dell'Agi. A partire dalla situazione della sicurezza, minata non solo dallo scontro tra il Gnu le forze della Cirenaica guidate dal generale Haftar ma anche da scontri interni al fronte tripolitano, come reso evidente dai recenti scontri nella capitale tra due milizie entrambe leali a Dbeibah. Il funzionario ha spiegato che il governo sta perseguendo l'obiettivo di "mettere assieme guesti gruppi". Inoltre, ha proseguito, è stata realizzata una riforma di polizia ed esercito che sta consentendo di inquadrare molti giovani in formazioni regolari addestrate con l'aiuto di Paesi alleati.
"La sicurezza dei cittadini deve aiutare lo sviluppo del Paese, dobbiamo cambiare la situazione e trovare un accordo nonostante la tanta sofferenza", ha detto ancora il portavoce, "c'e' bisogno di tempo ma ci sono alcune speranze, ci sono settori in cui è migliorata molto la sicurezza". "I problemi della Libia sono di vecchia data, abbiamo avuto anche la maggiore presenza dell'Isis in Nordafrica", ha ricordato Hamuda, "il problema della sicurezza è importante perché si riflette su tutti i settori e anche sulle relazioni con i Paesi vicini ma le sfide per la sicurezza non sono nate adesso, sono problemi sorti dai conflitti iniziati nel 2011".
Obiettivo tre milioni di barili
Le sfide per la sicurezza sono legate a doppio filo alle sfide economiche. "La Libia soffre di mancanza di sicurezza e ciò ha portato molti Paesi ad allontanare gli investimenti ma dobbiamo tutti cooperare per arrivare alla stabilità", ha continuato il portavoce, avvertendo che sono proprio gli investimenti stranieri a "creare posti di lavoro e sicurezza" e "rafforzare la stabilità del Paese". Un processo che non può non partire dal rilancio del settore petrolifero, per il quale il Gnu ha stanziato rilevanti risorse per "progetti che speriamo possano, nel giro di 3-5 anni, far arrivare la produzione a 3 milioni di barili al giorno".
"La cooperazione con Paesi vicini, con aziende capaci di effettuare questi lavori molto importanti, consentirà, giunti a questi livelli di produzione, di investire anche in altri settori", ha evidenziato Hamuda, "incoraggiamo le aziende italiane a venire a investire anche nelle energie rinnovabili". A questo proposito la senatrice Marinella Pacifico, introducendo l'incontro, ha menzionato "innovativi progetti di energia green in alternativa alle fonti di energia tradizionali per fare in modo che anche dal versante Sud ci sia la possibilità di un trasferimento di energia elettrica con cavi sottomarini".
La porta dell'Africa
Un approfondimento della cooperazione con i partner più prossimi non può fermarsi al settore energetico, soprattutto in una fase nella quale, ha osservato il portavoce di Dbeibah, la "situazione attuale" in Ucraina "si riflette in modo molto negativo su tutti gli Stati del mondo, creando inflazione, disoccupazione e insicurezza alimentare in tutti i Paesi". Sono necessari prima di tutto stanziamenti per le infrastrutture, dal momento che la Libia, ha spiegato Hamuda, soffre di una "mancanza di comunicazione" con gli Stati vicini i quali, partecipando agli investimenti, potrebbero contribuire a rendere il Paese "la porta tra Africa ed Europa".
"Dobbiamo cooperare nel campo dei porti, ci sono diversi porti che lavorano ancora con regimi molto contenuti, molto al di sotto del loro potenziale", ha rimarcato Hamuda, "questi porti potrebbero essere la porta del Nordafrica verso l'Europa", ha sottolineato Hamuda, "dall'Africa possiamo esportare energia e materie prime e dall'Europa possiamo importare i prodotti di cui l'Africa ha bisogno". "Il nostro governo sta studiando inoltre il trasporto terrestre", ha detto ancora il funzionario libico, citando in particolare un progetto viabile "che potrebbe aprire una strada molto importante per gli scambi energetici tra Africa ed Europa".
"L'immigrazione sia un'occasione da sfruttare"
Altro dossier delicatissimo, in particolare nei rapporti bilaterali Italia-Libia, è quello dell'immigrazione che, ammonisce Hamuda, "se incontrollata può essere vista come un problema ma non può essere vista come un problema di per sé", atteggiamento che "non risolve nulla". "Bisogna, anzi", secondo il funzionario del governo libico, "vederla come una sfida da sfruttare e utilizzare", soprattutto alla luce delle tendenze demografiche divergenti tra le due sponde del Mediterraneo.
"La Libia è un Paese di passaggio, di transito, ed è quello che sopporta il peso più grosso", ha rilevato Hamuda, "ospitare le centinaia di migliaia di migranti che stanno in Libia rappresenta un peso enorme per il governo, che non riesce a gestire questo grande numero", "Bisogna cooperare per affrontare questo problema e giungere alla creazione di posti di lavoro su entrambe le sponde del Mediterraneo, la maggior parte dei migranti sono giovani che cercano una vita migliore e ne hanno diritto, le migrazioni esistono da secoli e secoli", ha concluso Hamuda, "quello che cercano è una vita migliore, non possono essere visti come un problema invece che come una risorsa, per molti di loro il rischio di morire in mare o nel deserto è inferiore ai rischi che corrono restando nel loro luogo di origine".