AGI - Emanuela Del Re è Rappresentante speciale dell’Unione europea per il Sahel da un anno. E non è stato un anno facile: in Mali il secondo colpo di Stato con il conseguente sfibramento dei rapporti, anche militari, con gli alleati europei; un golpe anche in Burkina Faso; il presidente del Ciad, figura centrale nel panorama africano, è stato ucciso al fronte e si è insediato al suo posto il figlio, dando inizio a una complessa transizione; infine, l’invasione russa dell’Ucraina si è rivelata un banco di prova per il rapporto di fiducia tra l’Unione europea e l’Africa e rischia di causare una crisi alimentare devastante per tutto il Continente. La battaglia contro Mosca, almeno nel Sahel, si gioca tutto sul campo della propaganda mediatica.
“È evidente che l’invasione russa dell’Ucraina ha complicato ulteriormente le cose. In geopolitica non si può pensare di ragionare per compartimenti stagni: tutto è interconnesso e interdipendente. Non a caso quello che sta avvenendo in Ucraina ha comportato tutta una serie di conseguenze molto complesse sul piano politico internazionale con ripercussioni importanti anche in Africa e nel Sahel”, spiega Del Re in un’intervista all’AGI.
E come si è complicato il Sahel in quest’anno?
“Seguo il Sahel da tempo, e già da vice ministra degli Esteri dell’Italia avevo viaggiato molto nella regione con numerosissime interlocuzioni con i capi di Stato e di governo, con la classe dirigente, con i rappresentanti delle istituzioni e con la società civile. Nel momento in cui ho assunto il ruolo di Rappresentante speciale dell’Ue per il Sahel ho trovato una situazione diversa soprattutto perché c’era stato un secondo colpo di Stato in Mali con l’ascesa al potere del colonnello Assimi Goita. Lo scenario si presentava dunque complesso soprattutto se consideriamo che il Mali è un Paese assolutamente centrale nella regione e nei rapporti tra il Sahel e l’Europa. Una mia priorità è stata da subito gestire il rapporto con Bamako puntando su principi condivisi nello spirito di collaborazione e partenariato. Ovviamente nel rispetto di limiti invalicabili”.
Quali?
“Durante il mio primo incontro con il colonnello Goïta gli dissi chiaramente che l’Unione europea desiderava restare il principale partner del Paese, ma che se avessero deciso di coinvolgere i mercenari della società russa Wagner nel sistema di sicurezza del Paese questo per noi avrebbe costituito una linea rossa non oltrepassabile, perché va contro ogni nostro principio considerando per altro l’enorme impegno militare che era in corso”.
Alla fine però i mercenari russi sono stati coinvolti dal Mali
“Da quella decisione ha avuto origine in effetti un enorme cambiamento nel contesto saheliano. Il Mali in particolare ha messo in campo diverse provocazioni che hanno creato notevoli difficoltà soprattutto per la presenza europea nel Paese, con conseguente ritiro della missione francese Barkhane e della missione Takuba a cui partecipavano diversi Stati membri tra cui l’Italia. Peraltro è stata sospesa la missione di addestramento Eutm che aveva già formato 18 mila militari maliani. Ora siamo in prospettiva di grandissima incertezza”.
Ma oltre al Mali, diversi Paesi africani hanno scelto di non condannare Mosca
“Noi europei ci siamo resi conto che non sempre i nostri principi ispiratori sono condivisi o automaticamente comportano reazioni prevedibili da parte di altri attori internazionali. Tant’è vero che quando c’è stata la risoluzione Onu che condannava l'invasione russa dell'Ucraina, in Africa le reazioni non sono state tutte a favore. In realtà ci aspettavamo un’adesione corale, ma ciò non è avvenuto. Le motivazioni, così come me le hanno spiegate alcuni capi di stato africani, sono dovute al senso di distanza dalla questione Ucraina e dal timore di perdere i piccoli vantaggi che derivano dal loro rapporto con la Russia. Non sono motivazioni sufficienti, per l’Ue, ma ci devono far riflettere. Non possiamo dare per scontata la nostra autorevolezza in materia di valori soprattutto legati ai diritti umani e contro le aggressioni arbitrarie. Se vogliamo restare ancora autorevoli e vogliamo ancora mantenere questo primato di produttori di forti principi ispiratori per la politica internazionale è arrivato il momento di rivedere alcuni nostri linguaggi e alcuni nostri comportamenti per renderli più adatti alle sfide contemporanee”.
Ad esempio quali?
“Siamo in un mondo multipolare e non sempre quando noi produciamo delle idee o dei principi siamo automaticamente credibili e riusciamo ad affermare le nostre convinzioni, perché spesso siamo in competizione con altri”.
L’Unione europea non è stata abbastanza autorevole?
“Il presidente del Ghana mi ha detto: ‘ti devi rendere conto che la non adesione alla risoluzione Onu da parte di alcuni Paesi africani può essere dovuta al timore di perdere quel poco che la Russia già forniva’. Forse dobbiamo rivedere anche il nostro modo di essere presenti. In che cosa possiamo essere veramente partner e come possiamo rafforzare il partenariato perché sia efficace e garanzia di rapporti solidi, durevoli. Inoltre ci sono altri due elementi non di poco conto: la Russia da tempo cerca di interferire, spesso senza riuscirci, nella dinamiche politiche interne dei Paesi africani. Per questo continuo a suggerire di individuare i punti deboli della loro strategia per elaborare le nostre reazioni. La Russia riesce molto bene però nella campagna di disinformazione, utilizzata come vero e proprio strumento di warfare, mirata ad alimentare un sentimento anti-occidentale. L’Unione europea è molto impegnata per contrastare queste azioni”.
Molti però sono preoccupati dall’immediato: da una parte la crisi alimentare, dall’altra la nuova crisi di migranti che essa potrebbe innescare
“La crisi alimentare è alle porte. Oltretutto si inserisce in un contesto già estremamente provato. È chiaro che l’aggravamento che deriverà dalla chiusura dei porti e dal blocco delle navi avrà un effetto devastante. Io mi trovo spesso a dover ribadire in Africa, e qui torniamo al discorso della disinformazione, che non è l’Unione europea ad aver voluto questo. Si sta diffondendo una narrativa denigratoria falsa contro l’Unione europea che è in realtà il partner principale, più affidabile del Sahel, come dico spesso “naturale” della regione. Lo dicono le cifre degli investimenti in termini di sviluppo e aiuto umanitario e di sicurezza, nonché l’enorme volume dei progetti. Sulla crisi alimentare l’Ue è estremamente impegnata. Lo scorso aprile si è tenuta a Parigi una importante conferenza dei donatori organizzata dall’Unione europea, dal Sahel and West Africa Club e dal Global Network against Food Crisis per mobilitare fondi e risorse per rispondere adeguatamente alla crisi alimentare nel Sahel, nella regione del Lago Ciad e in Africa occidentale. È certo che oltre a tamponare l’emergenza bisogna davvero mettere in campo un attacco sistematico alle cause profonde della crisi per risolvere alcune gravi questioni in modo definitivo con interventi sostenibili nel tempo”.
- E il rischio di una nuova ondata di migranti?
“Termini come ‘ondata’ ed ‘emergenza’, utilizzati molto spesso, mi mettono sempre in difficoltà perché trovo che siano allarmisti e non sempre giustificati come concetto. La crisi potrebbe portare a nuovi movimenti migratori verso l’Europa però va detto e va tenuto fortemente in considerazione il fatto che in realtà la maggior parte dei movimenti di persone si muovono lungo le rotte Sud-Sud, nel Sahel. Tant’è vero che per esempio sono aumentati moltissimo gli sfollati in Burkina Faso, continuano ad aumentare i rifugiati nel Ciad, un fenomeno regionale. Sappiamo molto bene che raggiungere le coste a nord, il Maghreb, il Mediterraneo, è molto difficile, molto rischioso, molto costoso. L’Ue è molto impegnata in progetti per l’istruzione, la salute, per dare un futuro ai giovani nel Sahel. Certamente il fenomeno migratorio è un fenomeno da tenere sotto osservazione soprattutto per evitare che si trasformi in un cimitero nei deserti o nel mare”.
L’Africa non è un campo dove giocano solo Ue e Russia. Ci sono anche Cina e Turchia
“È evidente che l’Unione europea è un attore diverso. La Cina per esempio costruisce moltissimo, investendo ad esempio nelle infrastrutture. In tutto il Sahel, ogni volta che entro in un edificio pubblico, vedo spesso una targa che riconosce il contributo della Cina. Quando ero Vice ministra mi sono battuta perché l’Italia partecipasse in qualche modo al Musée des civilisations noires a Dakar. Mi dispiaceva che pur avendo la Cina costruito l’edificio, non ci fosse un contributo dell’Italia che ha una grande tradizione di africanistica e quindi ho coinvolto il Museo Delle Civiltà (Museo Pigorini) di Roma e ho creato un gemellaggio. La competizione sul terreno in Africa è molto forte, ma sappiamo bene che se da un lato gli investimenti soprattutto cinesi consentono ai Paesi africani di avere tra le altre cose grandi infrastrutture, questo ha un costo importante in termini di debito. Lo stesso vale per la Turchia che segue una sua politica ben precisa. Ecco perché non credo che l’Unione europea debba entrare in competizione con la Cina e la Turchia, perché noi lavoriamo su un altro livello, adottando modelli e finalità diversi. Il nostro impegno si poggia sulla partnership per la “ownership”, ovvero l’appropriazione da parte delle popolazioni e delle autorità locali”.
In tutto questo l’Italia quanto è presente, o forse assente?
“Sono italiana e la nazionalità di origine ha un senso nell’azione diplomatica, soprattutto in politica estera. La mia italianità è percepita come una garanzia, come dicono gli africani, perché l’Italia è vista come paese che non ha un’agenda nascosta. Io mi sento sempre accolta prima come europea, e poi come italiana per le caratteristiche di apertura e empatia che ci vengono attribuite. Auspico che gli italiani tengano conto di questo, di quanto l’italianità sia importante per tutte le caratteristiche che l’Italia presenta in termini di qualità, di capacità di innovazione, di capacità di interlocuzione con il mondo in generale, una potenza che si afferma anche come collante catalizzatore tra tanti processi. Questa consapevolezza io auspico venga acquisita sempre di più, e che porti sempre più italiani ad aprirsi con ogni tipo di azione – imprenditoriale, accademica, di sviluppo e altro - anche nel Sahel, la vera frontiera meridionale dell’Europa”.