AGI - Falco in politica estera e fautore dell'aggressiva politica economica che da lui prende il nome di "Abenomics" per il rilancio del Giappone. Sono le due grandi eredità di Shinzo Abe, il primo ministro più longevo della storia del Giappone, morto oggi, assassinato mentre teneva un discorso a sostegno di un candidato del Partito Liberal Democratico, durante un comizio a Nara, nel Giappone occidentale.
Abe, 67 anni, ha ricoperto la carica per due mandati, dal 2006 al 2007 e dal 2012 al 2020, quando si è dimesso per motivi di salute, pur mantenendo una forte influenza sul partito, il Partito Liberal-democratico. Abe è nato da una famiglia influente in politica: suo nonno, Nobusuke Kishi, era stato primo ministro, mentre suo padre, Shintaro Abe, aveva ricoperto la carica di ministro degli Esteri.
Abe era entrato in politica nel 1993, eletto per la prima volta in parlamento due anni dopo la morte del padre, e aveva scalato posizioni nel Partito Liberal-democratico diventandone presidente nel 2006, quando assunse per la prima volta la carica di premier.
Sul piano interno, la principale eredità di Shinzo Abe è stata la sua politica economica, che da lui prende il nome di "Abenomics", che puntava a ravvivare l'economia giapponese. L'iniziativa macro-economica per il rilancio del Paese si è composta di una politica monetaria espansiva senza precedenti, una forte spesa pubblica e riforme strutturali, che hanno ravvivato l'economia durante il suo primo mandato, perdendo, però, efficacia negli anni a seguire, con il prodotto interno lordo giapponese che ha registrato una contrazione nel 2015, mentre nel 2020 il Paese è entrato in recessione, ancora prima della crisi innescata dal Covid-19.
Gli anni dell'Abenomics appaiono ormai legati al passato. Lo stesso primo ministro attuale, Fumio Kishida, l'ha criticata l'anno scorso, all'inizio del suo mandato. "L'Abenomics ha chiaramente dato risultati in termini di prodotto interno lordo, utili societari e impiego, ma ha fallito nel creare un 'circolo virtuoso'", ha dichiarato al Financial Times Kishida, che punta ad aumentare i redditi di un'ampia fetta della popolazione per incentivare i consumi, con l'obiettivo di realizzare una "nuova forma di capitalismo" diversa dalle politiche "neoliberiste" degli anni Novanta e dei primi anni anni Duemila.
Abe è noto anche per le sue linee da falco in politica estera e per il tentativo, non riuscito, di emendare la Costituzione pacifista giapponese. Nel 2014, però, con un cambiamento di portata storica, il suo governo ha reinterpretato la Costituzione per permettere ai soldati giapponesi di potere intervenire all'estero a sostegno degli alleati, anche nel caso in cui il Giappone non sia attaccato direttamente.
L'approccio da falco del primo ministro ha profondamente irritato Cina e Corea del Sud: in particolare, la sua visita al tempio Yasukuni nel 2013, dove sono sepolti anche quattordici generali giapponesi considerati criminali di guerra nella Seconda Guerra Mondiale, ha adirato Pechino e Seul.
Fin dall'inizio del suo secondo mandato, a fine 2012, Abe ha dovuto affrontare rapporti con la Cina sempre più difficili per la disputa di sovranità sulle isole Senkaku, che la Cina rivendica con il nome di Diaoyu. La controversia si è protratta per due anni, fino a un accordo del 2014, che ha di fatto messo in stand-by, ma senza risolvere, la contesa tra Pechino e Tokyo sulle isole del Mare Cinese Orientale.
Tra i principali capitoli di rammarico per l'ex primo ministro, in politica estera, ci sono anche la questione irrisolta dei cittadini giapponesi rapiti da spie nord-coreane tra la fine degli anni Settanta e i primi anni Ottanta, e le dispute territoriali con la Russia, anch'esse tuttora irrisolte.
La popolarità di Abe risentì, negli ultimi mesi del suo terzo e ultimo mandato, della linea adottata contro il Covid-19. In particolare, nella polemica finirono le mascherine lavabili - diventate note come "Abenomasks" e criticate per essere troppo piccole e per la distribuzione tardiva - e la campagna per fare ripartire il turismo, paralizzato dalla pandemia, che avrebbe contribuito a una ripresa dei contagi.
La gestione del Covid-19 e gli scandali politici in cui è rimasto coinvolto il suo governo hanno fatto crollare il consenso attorno ad Abe, sceso sotto il 30% secondo alcuni sondaggi. Dopo settimane di speculazioni sulle sue condizioni, Abe si è dimesso a fine agosto 2020, citando, tra le lacrime, problemi di salute legati al riemergere di una colite ulcerosa, e si è difeso dalle accuse di favoritismi all'interno del suo governo. "Non ho mai utilizzato la mia amministrazione per fini personali", ha detto.