AGI – Boris Johnson ha dovuto rassegnare le dimissioni dalla guida del partito Tory, ripetendo una sequenza già sperimentata da illustri predecessori come Winston Churchill e Margaret Thatcher, sintomatica di una forma di "ingratitudine" dei Conservatori e dell'elettorato in generale nei confronti dei propri leader più brillanti.
“Alla fine anche il politico più fortunato resta senza fortuna e l'artista più temerario scivola sul filo del rasoio. Il primo ministro Boris Johnson potrebbe essere giunto al termine, ma che viaggio spettacolare è stato. E ha cambiato il corso della storia britannica come pochissimi sono riusciti a fare” ha scritto sul Sydney Morning Herald George Brandis, ex alto commissario del Regno Unito ed ex procuratore generale, professore al National Security College dell'Australian National University. “Che lo ami o lo detesti, Boris Johnson è stato il primo ministro britannico più importante dai tempi della Thatcher” ha sottolineato Brandis, ripercorrendo la traiettoria politica dell’ormai ex leader Tory.
Un percorso fatto di tanti successi, poiché BoJo viene considerato da molti – anche all’opposizione – come un “vincitore”, un “fortunato”, già da quando nel 2008 vinse l’elezione a sindaco di Londra, poi nel 2016 con il voto della Brexit che ha cambiato la storia del Paese, infine alle elezioni generali del 2019 quando ha consegnato al Partito Conservatore la più solida vittoria dai tempi della ‘Lady di Ferro’.
Eppure anche se Johnson è riuscito a camminare sul binario giusto della storia, alla fine non è bastato ad evitargli la caduta e da “sopravvissuto indomabile è alle prese con un’altra prova”, ha riferito Azernews, commentando la notizia delle dimissioni di BoJo che sta facendo il giro del mondo. “Quello che sta vivendo Boris è un affare tipicamente britannico. La nazione che un tempo governava le onde e ha sviluppato la democrazia parlamentare più resiliente della storia ha coltivato da tempo la sua propensione all'irriverenza bestiale nei confronti dei suoi leader eletti. Questo vale sia per la politica nazionale che per le dinamiche interne ai partiti” ha analizzato il quotidiano dell’Azerbaigian in lingua inglese.
Secondo molti studiosi, la storia si ripete ciclicamente, e tale lettura non è mai stata così vera nel caso dei leader conservatori e premier britannici. Il primo parallelismo che viene in mente è quello con Winston Churchill, il più grande leader in tempo di guerra che ha salvato il Paese e l’Europa dai nazisti, ma alle elezioni generali del 1945 lo stesso elettorato britannico lo rimandò a casa, con una sconfitta vergognosa e una vittoria schiacciante per il rivale laburista, inviando così un’onda d’urto in tutto il mondo.
Anche se Churchill tornò in seguito al potere nel 1951, in seguito avrebbe ricordato quella clamorosa sconfitta elettorale come "una fitta acuta di dolore quasi fisico, rimasta per sempre, come uno stiletto tra le costole” secondo le sue stesse parole citate da Azernews. “I Tory sono noti per la loro eclatante irriverenza nel contesto delle guerre civili interne ai partiti in particolare”, ha ancora ricordato la testata dell’Azerbaigian in lingua inglese.
Oltre alla vicenda di Churchill c’è anche la rivolta interna contro Margaret Thatcher nel 1990, guidata da Sir Michael Heseltine, innescando una battaglia per la leadership del partito. Anche se la Iron Lady batté Heseltine con 204 voti contro 152, come conseguenza di una vittoria che non fu "assoluta" alla fine decise di dimettersi.
Mai due senza tre. Sulla scia di una serie di scandali che hanno coinvolto diversi esponenti del suo governo e della maggioranza, anche Johnson ha dovuto fare i conti con una fronda interna al Tory Party, una ribellione in realtà più importante rispetto a quanto molti si aspettassero, che ha portato alla luce divisioni profondamente laceranti, pensieri divergenti e complotti per cacciarlo.
È in grado di sopravvivere "dove i comuni mortali fallirebbero", aveva affermato l’ex premier David Cameron, commentando il fatto che dopo lo scandalo Partygate nessuno tranne Johnson sarebbe stato in grado di restare al potere, ma lui ci era riuscito essendo un “combattente terribile”. In realtà in quanto biografo di Churchill, di cui è un grande ammiratore Johnson – che ha firmato il libro intitolato “The Churchill Factor. How One Man can made History” – sa bene che il successo in guerra non garantisce la conquista della pace.
“A differenza dei suoi oppositori laburisti, Churchill non offriva una visione convincente di una Gran Bretagna più giusta e in tempo di pace. Qual è quello di Johnson? Come Churchill nel 1945, il primo ministro offre più o meno lo stesso: se stesso”: così il Washington Post, in un articolo dello scorso aprile. Per il quotidiano Usa, nelle ultime settimane, nel contesto della guerra in Ucraina e della linea dura contro la Russia, non è un caso che Johnson abbia vissuto “il suo momento alla Churchill”, in particolare quando ha citato le parole pronunciate durante la Seconda guerra mondiale dal suo illustre predecessore durante il discorso al Parlamento di Kiev, definendo la risposta all'invasione russa dell'Ucraina “L'ora migliore” del Paese. Ed è stata proprio la guerra in Ucraina a salvare, almeno momentaneamente, la leadership di Johnson da un senso di deriva verso il basso, dopo lo scandalo Partygate e mentre i britannici erano soprattutto preoccupati per il post Covid, il rincaro dei prezzi e appunto il conflitto in Europa.
“Quarant'anni fa, la campagna di successo per riconquistare le Isole Falkland dall'Argentina salvò Margaret Thatcher nonostante la disoccupazione record in patria” ha ricordato il Washington Post, in un parallelismo con l’ex premier Tory poi caduta in disgrazia.
Secondo George Brandis sulle colonne del Sydney Morning Herald, se Johnson ha cercato consapevolmente di invitare a confronti tra se stesso e Churchill, fino al punto di scrivere una nuova biografia del grande uomo, il confronto più vero con i leader conservatori del passato è con il primo ministro più enigmatico del 19° secolo: “Benjamin Disraeli era un ipnotizzante oratore, un complottista senza scrupoli, uno spudorato libertino e, a volte, un terribile bugiardo. Era anche un genio politico, con un'idea spudoratamente romantica della grandezza del suo paese e un'impareggiabile capacità di accendere l'orgoglio patriottico in ogni cuore britannico” ha sottolineato Brandis.
A poche ore dalle dimissioni di Johnson dalla direzione del partito, diversi analisti concordano sul fatto che “il suo personaggio eccentrico e sui generis catturerà l'immaginazione dei posteri. Le sue prove saranno custodite nei libri di testo come quelle di un Ercole della politica britannica che ha ancora molto da offrire” ha prospettato Azernews. E se alla fine BoJo “sopravvivrà alla catena di prove che lo attendono nelle prossime settimane, sarà debitamente sostenuto, sarà pronto a macinare i suoi detrattori sotto i talloni come i vecchi mozziconi di sigaro affumicati con aria di sfida di Sir Winston Churchill” ha concluso la stessa fonte.