AGI - Caos e incertezza in Uzbekistan, teatro di proteste per l'ulteriore svolta autoritaria del regime del presidente Shavkat Mirziyoyev che vuole bloccare la strada alla secessione del Karakalpakstan, regione prevalentemente desertica del Nord-Ovest. A far scattare le proteste di piazza della scorsa settimana, segnate da violenze tra manifestanti e polizia - con un bilancio ufficiale di 18 morti e 243 feriti - sono state le modifiche alla Costituzione annunciate da Mirziyoyev, che di fatto bloccherebbero la strada al referendum sulla secessione fortemente voluto dal Karakalpakstan.
Il governo centrale di Tashkent non vede di buon occhio le velleità secessioniste della regione, che gode da anni di uno statuto speciale e dell'autonomia, e per questo ha adottato la controversa riforma costituzionale. I gravi disordini nel Karakalpakstan sono la prima grande protesta a scoppiare in Uzbekistan dalla rivolta che il 13 maggio 2005 aveva travolto la città di Andijan.
In quell'occasione, le truppe del Servizio di sicurezza nazionale uzbeko spararono su una folla di manifestanti scesi in strada per denunciare povertà e corruzione dilagante. Secondo il conteggio ufficiale del governo, le vittime furono 187, ma per diverse fonti sarebbero state molte di piu'. In realtà il malcontento della popolazione contro il potere centrale e autoritario di Tashkent bolliva in pentola da tempo per il suo crescente controllo sul vasto territorio occidentale, per lo piu' desertico e scarsamente popolato.
La storia del Karakalpakstan
È nato nel 1925, come entità autonoma all'interno dell'allora Repubblica Socialista Sovietica del Kazakistan. Dal 1930 è stato amministrato direttamente da Mosca prima di entrare a far parte, nel 1936, sempre come regione autonoma, dell'allora Repubblica Socialista Sovietica dell'Uzbekistan.
All'epoca era una regione fiorente che viveva di pesca ed esportazioni marittime grazie al lago d'Aral, ma, a partire dagli anni '60, il governo sovietico ha iniziato a deviare l'acqua dall'Amu Darya e dal Syr Darya, due fiumi che alimentano il lago, per coltivare cotone e sostenere l'ulteriore sviluppo agricolo nell'area. Tale processo, non regolamentato in modo adeguato, ha desertificato il lago, inquinandone le acque e provocando un'impennata di malattie tra la popolazione.
Dopo il crollo dell'Urss, nel 1993, il Karakalpakstan ha negoziato un accordo con il governo centrale uzbeko sulla base del quale sarebbe rimasto parte del Paese per almeno 20 anni, ma godendo di una certa autonomia e riservandosi il diritto di tenere poi un referendum sulla secessione.
Nel corso del tempo il governo centrale di Tashkent ha fatto rimanere accordo e diritto solo sulla carta, mettendo a tacere ogni attivismo secessionista e amministrando persino le risorse idriche della regione, dove oggi operano almeno 40 joint venture nel settore tessile.
Pur essendo ricco di risorse naturali e minerarie quali rame, argento, oro, uranio e giacimenti di gas, il Karakalpakstan - che ha Nukus come capitale - non dispone di grandi infrastrutture né ha la forza economica e l'architettura politico-istituzionale per andare avanti sulla strada dell'indipendenza.
Parte della sua popolazione è già emigrata, svuotando ulteriormente la zona; è costituita per lo più dai karakalpaki, un'etnia turcica e turcofona che per costumi, lingua e tradizioni differisce sensibilmente dagli uzbeki e, insieme a loro, costituisce la maggior parte degli abitanti del territorio. Mentre gli uzbeki rivendicano la propria discendenza dalle civiltà sedentarie delle oasi, i karakalpaki - alla stregua dei kazaki o kirghizi - appartengono invece alla cosiddetta civiltà della steppa e alla tradizione del nomadismo.
Tra i 170 emendamenti costituzionali proposti dal presidente, diversi avrebbero effettivamente privato il Karakalpakstan della sua semi-autonomia e del diritto di tenere un referendum sulla secessione, oltre a rafforzare definitivamente il controllo centrale di Tashkent. Un rischio concreto che ha spinto la sua popolazione a manifestare, anche per difendere un privilegio detenuto sin dagli anni '30.
Nonostante il black-out provocato dal potere centrale, lo scorso fine settimana gli abitanti non si sono arresi e i disordini sono aumentati, costringendo il presidente Mirziyoyev, in carica dal 2016, a volare a Nukus ben due volte, e a promettere di stralciare gli emendamenti costituzionali contestati. Nei mesi scorsi ad infiammarsi era stato un altro pezzo dell'ex Urss, il Kazakistan, dove a gennaio sono state represse proteste di massa con l'aiuto di truppe dalla Russia e da altre ex Repubbliche sovietiche.