AGI - Si fanno sempre più tese le relazioni tra la Repubblica democratica del Congo e il Rwanda. Kinshasa accusa Kigali di aver dispiegato dei suoi soldati nell’est dell’Rdc a sostegno dei ribelli dell’M23, Kigali nega e dice che le accuse sono infondate. Queste nuove accuse arrivano dopo due settimane di tensione tra i due paesi. Kinshasa accusa Kigali di sostenere questo gruppo dell’ex ribellione tutsi apparsa alla fine dell’anno scorso nella provincia congolese del Nord Kivu, dopo che nel dicembre del 2013 aveva deposto le armi.
Alla fine di maggio, l’esercito congolese ha detto di aver arrestato due soldati ruandesi sul territorio della Repubblica democratica del Congo, il Rwanda, invece, sostiene che i due militari siano stati rapiti sul lato ruandese del confine dai ribelli hutu che hanno messo le loro basi in Congo. “Dall’arresto dei soldati della forza speciale ruandese sul territorio di Rutshuru, nel Nord Kivu, il Rwanda ha cambiato l’abito dei suoi soldati per nascondere la sua presenza in territorio congolese insieme ai terroristi dell’M23”, ha spiegato il generale Sylvain Ekenge, portavoce del governatore militare del Nord Kivu.
Il Rwanda ha “schierato 500 soldati delle forze speciali nelle vicinanze di Chanzu, tutti vestiti con una nuova divisa verde-nera e con gli elmetti delle forze speciali”, ha proseguito il generale, invitando la popolazione a “denunciare” la loro presenza. Il portavoce del governo ruandese, Yolande Makolo, invece, ha spiegato che “attraverso il nostro ministro degli Esteri e il nostro rappresentante permanente alle Nazioni Unite, il Rwanda ha chiarito la sua posizione, non abbiamo alcun interesse per una crisi e non risponderemo ad accuse infondate”. Il portavoce dell’esercito ruandese, il colonnello Ronald Rwivanga, ha semplicemente detto che non commenta “voci”.
Gli scontri hanno nuovamente contrapposto, all’inizio di questa settimana, l’esercito congolese (Fardc) e l’M23, nel territorio di Rutshuru. La missione Onu in Rdc (Monusco), impegnata in combattimenti a fianco delle Fardc, ha fatto sapere che la sua postazione era stata attaccata a Shngi: “Tre caschi blu sono rimasti feriti ed evacuati a Goma”, il capoluogo della provincia. Otto caschi blu della Monusco erano morti il 29 marzo nello schianto del loro elicottero in missione di ricognizione sopra una zona di combattimento tra le Fardc e l’M23.
Intanto a farne le spese è, come sempre, la popolazione civile. Migliaia di persone hanno dovuto lasciare le loro case per sfuggire ai combattimenti. “Migliaia di famiglie sono state costrette a fuggire da questa nuova ondata di violenza. Alcune hanno dovuto camminare per più di 20 chilometri per raggiungere la periferia di Goma”, ha spiegato Caitlin Brady, direttore dell’ong Norwegian Refugee Council in Rdc. Migliaia di sfollati si sono accampati come meglio hanno potuto in chiese, scuole o altri luoghi non adatti a un tale afflusso di persone, che li espone al colera, alla malaria e ad altre malattie, sottolineano le organizzazioni umanitarie. Mancano cibo, acqua potabile, attrezzature di base, aggiunge l'Unhcr, che afferma di aver bisogno urgentemente di 5 milioni di dollari per le sue operazioni nel Nord Kivu. Adama Coulibaly, dell’Ong International Rescue Committee, ha sottolineato, inoltre, la necessità di garantire la protezione delle squadre umanitarie che operano sul campo.
“L’incubo della guerra dura da troppo tempo. Chiediamo ai belligeranti di tornare a ragionare”. A chiederlo sono i vescovi della Conferenza episcopale del Congo, in una nota riportata dall’Agenzia Fides, attraverso la quale esprimono la loro inquietudine per “il degrado delle condizioni di sicurezza nella provincia del Nord Kivu, in particolare nei territori di Rutshuru e Nyiragongo, a seguito dell’intensificarsi dei combattimenti tra le forze armate congolesi e i ribelli M23, che causano tante perdite di vite umane da una parte e dall’altra”.
Nella nota, la Conferenza episcopale sottolinea che l’instabilità nel Nord Kivu alimenta tensioni regionali (non nomina esplicitamene il Rwanda) e si dice “stupefatta perché i combattimenti avvengono a poche settimane dagli incontri di Nairobi, dove i capi di Stato della regione dei Grandi Laghi e i gruppi armati hanno preso l’impegno di unire gli sforzi per instaurare la pace nell’est della Repubblica democratica del Congo”. La popolazione di questa regione aspira “a una pace duratura”, scrivono i vescovi, “tanto più che il popolo congolese si sta mobilitando per accogliere a luglio Papa Francesco, che viene come artefice di pace e apostolo della riconciliazione”.
I conflitti nell’est del Congo sono una costante e continuano da ben 25 anni. E non c’è da stupirsi visto che il Kivu è una delle regioni tra le più ricche del paese. Si trovano le ambite terre rare di cui va ghiotto l’occidente. Le multinazionali estrattive si accalcano in questo territorio, ma anche gli stati limitrofi, e spesso, questi ultimi, utilizzano le milizie di ribelli per il controllo del territorio.
Il Rwanda, per esempio, è molto interessato al coltan che si estrae in Congo. Molto del Pil di Kigali è costruito sull’esportazione di questo minerale fondamentale per tutti gli apparecchi elettronici, compresi i moderni telefonini. Ma di coltan in Rwanda non ce né nemmeno un grammo, tutto arriva dal confinante Congo e i detrattori accusano Kigali di attività predatoria.