AGI - Il rilancio delle relazioni con la Turchia, la minaccia iraniana ma anche la crisi in Ucraina e i rapporti con la Russia: è un’intervista a tutto tondo quella che Alon Bar, direttore generale del dipartimento politico del Ministero degli Esteri israeliano, concede all’AGI, mentre è in corso in Israele la visita del capo della diplomazia turco, Mevlut Cavusoglu.
Il riavvicinamento con Ankara è “importante per entrambi i Paesi, così come per la regione”, ma è "un processo in divenire" il cui obiettivo è arrivare a una “relazione stabile” e ciò può richiedere tempo, per evitare i contrasti che si sono registrati negli ultimi anni. “Dobbiamo essere sicuri che ci sia una serie stabile di progressi e che le questioni che in passato sono state motivo di frizione, e che non spariranno” – in primis la questione palestinese – “continuino a essere parte del dialogo, ma di un dialogo tra partner e amici, che possono avere in alcuni casi divergenze sulle cose ma senza che queste oscurino la possibilità di fare progressi su temi di comune preoccupazione”.
Tutto ciò avviene in una regione che ha visto di recente “un cambiamento drammatico nelle dinamiche dei rapporti”: la firma degli Accordi di Abramo tra Israele, Emirati e Bahrein nel 2020 ha portato alla normalizzazione delle relazioni diplomatiche e a una forte spinta nella cooperazione in svariati campi.
“Siamo fortemente impegnati – sottolinea Bar - perché questo sia a beneficio di Israele e di questi Paesi, e in un certo modo speriamo anche per i palestinesi. Questo perché vogliamo che il mondo arabo veda che c’è un importante beneficio in un buon dialogo con Israele. Ci rivolgiamo ai Paesi che già ne fanno parte ma anche ad altri che stanno guardando da bordo campo: non è uno sforzo alle spese di qualcuno, ma a favore del miglioramento della stabilità della regione”.
Si parla di collaborazione in svariati settori, dalla politica, all’agricoltura, dall’istruzione alla salute e alla lotta al cambiamento climatico, “tutte sfide importanti”. Bar non nasconde che “la motivazione della sicurezza è molto importante, e su questo ci sono altri Paesi che potrebbero condividere l’interesse a farne parte”.
“Assolutamente vorremmo vedere un’espansione degli Accordi di Abramo - Qatar, Arabia Saudita ovviamente, e altri ancora, Mauritania – ma siamo pazienti al riguardo e penso che abbiamo molte carte da giocare per trasformare queste relazioni in una cooperazione più forte, su temi civili ma anche un migliore coordinamento sulla sicurezza”.
A spingere fortemente in questa direzione è la comune minaccia posta dall’Iran e dalle sue attività nella regione, con la presenza di basi iraniane e la fornitura di armi e droni alle milizie sciite presenti in Siria, Libano, Yemen, Iraq. A questo proposito, la decisione dell’amministrazione americana di mantenere i Guardiani della Rivoluzione nella lista Usa delle organizzazioni terroristiche è stata accolta molto positivamente da Israele.
Una scelta giusta, sottolinea il diplomatico, “ma non vogliamo che si pensi che stiamo celebrando il collasso dell’accordo internazionale sul nucleare iraniano (Jcpoa). Siamo convinti che ritornarvi senza che l’Iran sia disposto a discutere del suo coinvolgimento regionale o di quei temi che non fanno parte dell’intesa”, come il suo programma missilistico, “sia assurdo: da un punto di vista pratico e simbolico, è inaccettabile”.
E, continua Bar, “manderebbe un messaggio sbagliato, specialmente verso i Paesi della regione che continuano a soffrire ogni giorno per le attività terroristiche sponsorizzate, e in alcuni casi portate avanti, dai Pasdaran. Dare loro i benefici della rimozione dalla lista è sbagliato fintantoché Teheran non è disposta a cambiare nulla del proprio comportamento nella regione”, ribadisce Bar.
“Abbiamo espresso agli americani e agli europei le nostre critiche su un ritorno all’accordo internazionale perché riteniamo che non fornisca la sicurezza e le garanzie sul programma nucleare di Teheran. Ma siamo stati molti attenti a non minare pubblicamente i negoziati”. Un atteggiamento ben diverso da quello dell’ex premier israeliano Benjamin Netanyahu che, all’epoca della firma dell’intesa, attaccò pubblicamente gli Stati Uniti e l’allora presidente Barack Obama, arrivando a condannare pubblicamente il Jcpoa in un discorso davanti al Congresso.
La posizione di Israele in merito è netta
“Il fatto che non ci sia un’intesa è da imputare principalmente al fatto che Teheran ha posto ripetutamente ostacoli sulla strada e spera di poter continuare a farlo, senza subire la pressione internazionale. Gli iraniani devono invece capire che c’è un prezzo da pagare, importante, se non sono disposti a discutere seriamente la questione nucleare e quella regionale. E per convincerli a farlo – afferma Bar - si deve applicare una pressione più ampia: assicurarsi seriamente che le sanzioni in vigore siano attuate potrebbe iniziare a creare una diversa prospettiva dal punto di vista iraniano”.
Le possibilità di un ritorno al Jcpoa, per lui sono “molto poche”. E “se l’accordo non può essere salvato”, allora bisogna far capire chiaramente all’Iran a cosa va incontro, “tramite una maggiore pressione politica, economica e potenzialmente anche con la minaccia militare”.
Ma l’Iran non è l’unica preoccupazione per la comunità internazionale: l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia tiene banco, una crisi in cui Israele ha cercato di svolgere un ruolo di mediazione attiva in nome dei buoni rapporti che intrattiene con entrambi i Paesi, forte anche delle ampie comunità ebraiche che ci vivono. A pesare sono anche le questioni di sicurezza: con il Cremlino, lo Stato ebraico ha un coordinamento in Siria, dove le forze israeliane compiono raid aerei regolarmente, avvertendo Mosca in modo da non incorrere in incidenti con le forze russe presenti nel Paese vicino.
“In Ucraina penso che le cose peggioreranno e che diventerà più difficile svolgere un ruolo costruttivo”, ammette Alon Bar. “Per noi mantenere una linea di comunicazione con la Russia continua a essere molto importante” e “agiamo in modo attento per evitare conseguenze sulla sicurezza nazionale”.
Allo stesso tempo, conclude Bar, “non c’è confusione in Israele sulla nostra ‘appartenenza’, siamo nella coalizione occidentale: lo sappiamo molto bene e l’abbiamo reso chiaro, fornendo aiuti umanitari, allestendo un ospedale da campo, assicurandoci di non essere usati per bypassare le sanzioni nei confronti della Russia”.