AGI - Il secco no all'ingresso nella Nato di Svezia e Finlandia da parte del presidente turco Recep Tayyip Erdogan rischia di creare una spaccatura all'interno dell'Alleanza e crea tensione nei rapporti tra Ankara e Washington.
Alla netta opposizione del leader turco, ribadita ieri, ha subito risposto il presidente americano Joe Biden, garantendo il totale sostegno degli Usa all'ingresso dei Paesi.
A fare da eco alla risposta della Casa Bianca il nutrito partito di coloro che nel Congresso si oppongono alla vendita di armi alla Turchia, che già gli Usa avevano escluso dal programma relativo gli F-35 in seguito all'acquisto da parte di Ankara del sistema di Difesa missilistico russo s-400.
Una posizione su cui poi Washington ha poi fatto un passo indietro, promettendo a Erdogan jet da guerra F-16 e forniture di armi, in considerazione dell'importanza della Turchia nell'architettura difensiva Nato, di cui Ankara è il guardiano del fianco est.
La polemica sull'ingresso di Svezia e Finlandia ha però finito con il derubricare l'acquisto degli F-16 da parte di Ankara, finito in secondo piano nell'incontro avvenuto lo scorso mercoledi a New York tra il ministro degli Esteri turco, Mevlut Cavusoglu e il segretario di Stato americano Anthony Blinken.
Tutto questo mentre i membri del congresso di origine greca, armena o vicini ai separatisti curdi, hanno nell'ultimo mese e mezzo serrato i ranghi contro l'intenzione della Casa Bianca di rifornire Ankara delle armi richieste. La missione di Cavusoglu ha preceduto di poche ore l'intervento del premier greco Kyriakos Mitsotakis al Congresso americano, che ieri non si è lasciato sfuggire l'occasione per mettere in guardia i politici americani dal vendere armi alla Turchia.
Mentre i rapporti tra Atene e Washington sono migliorati sensibilmente negli ultimi anni, la stesa cosa non si può dire che sia successa tra Erdogan e la Casa Bianca, le cui relazioni hanno seguito l'andamento delle polemiche nate per l'acquisto di s-400 e sopratutto per il sostegno americano ai curdi separatisti di Pkk-Ypg.
Il no di Ankara a Svezia e Finlandia è infatti stato motivato da Erdogan sulla base della disponibilità dei due Paesi a dare asilo e negare l'estradizione a 30 presunti membri dell'organizzazione curda, considerata terroristica da Usa e Ue.
Un no comprensibile, se si considera che per la Turchia la questione Pkk rappresenta una vera e propria linea rossa, ma che in questo caso e' rivolto forse piu' agli Stati Uniti che ai Paesi Scandinavi, dove esiste una diaspora curda che però preoccupa e irrita Erdogan meno del sostegno garantito dalla Casa Bianca al Pkk.
Un no che Erdogan oppone anche in virtù dell'equilibrio, anche se ormai sarebbe meglio parlare di equilibrismo, che lo stesso presidente turco ha ribadito ieri di voler mantenere tra Mosca e Kiev. Basta infatti il no della Turchia a bloccare la procedura di accesso dei due Paesi nell'Ue, una posizione che sicuramente non dispiace al Cremlino le cui rassicurazioni rispetto alla sicurezza della Finlandia sono state ripetute dal portavoce di Erdogan, Ibrahim Kalin.
Una posizione che però rischia di spaccare la Nato, un rischio ribadito dallo stesso Mitsotakis al Congresso Usa: "L'ultima cosa di cui ha bisogno la Nato nel momento in cui bisogna sconfiggere l'aggressione russa è una fonte di instabilità sul fianco sud-est".
Un riferimento a doppio taglio, che allude non solo alla disputa tra Ankara e Atene sulla sovranità delle isole del Mediterraneo orientale e alle presunte violazioni dello spazio aereo greco, ma anche al no di Erdogan all'ingresso di Svezia e Finlandia.
La fornitura di F16 alla Turchia preoccupa Mitsotakis per il Mediterraneo Orientale, il premier greco ha chiesto al Congresso di "tenere in conto" delle possibili conseguenze dell'accordo, su cui Washington al momento sembra voler andare avanti, sulla spinta delle preoccupazioni crescenti derivate dall'incancrenirsi del conflitto in Ucraina.
Una situazione che ha anzi spinto l'amministrazione Biden a pensare ad ampliare la portata dell'accordo. Una lettera della Casa Bianca indirizzata il mese scorsi al Congresso definisce la fornitura degli F16 ad Ankara e la modernizzazione degli aerei già facenti parte della flotta turca "un interesse nazionale degli Stati Uniti".
Una direzione che gli Usa hanno preso per proteggere il fianco est della Nato, ma anche perché Ankara ha mantenuto fede ai propri doveri nell'ambito dell'Alleanza una volta iniziato il conflitto. Erdogan ha sempre difeso l'integrita' territoriale dell'Ucraina, inviato droni impiegati sin dal 2014 per la difesa del Donbass e chiuso il passaggio del Bosforo alle navi russe da guerra e lo spazio aereo ai voli militari russi.
Decisioni che hanno rilanciato la centralità della Turchia nella Nato, anche alla luce del tentativo di negoziato imbastito dallo stesso Erdogan grazie all'equilibrio mantenuto nei confronti di Mosca e al rifiuto di applicare le sanzioni economiche. Lo scorso marzo, durante l'unica telefonata tra i due presidenti dall'inizio del conflitto in Ucraina, Erdogan ha chiesto a Biden di cancellare le "ingiuste sanzioni" nei confronti dell'industria della difesa turca e accelerare sugli F-16.
Ora Erdogan alza il tiro e forte del secondo esercito all'interno dell'Alleanza, della posizione strategica della Turchia e dell'importanza del canale di dialogo aperto con Mosca mette il veto all'allargamento. Una decisione comunque non irrevocabile, su cui una marcia indietro di Ankara non è esclusa, ma in cambio di sviluppi sul fronte degli armamenti, degli F-16 e anche del sostegno che sia Usa che Svezia e Finlandia garantiscono ai nemici del Pkk. A tremare sono proprio la Grecia e i separatisti curdi.
Atene si è rivelata negli anni incapace di far valere le proprie pretese nel Mediterraneo Orientale attraverso il diritto internazionale e ha scelto di far leva sull'alleanza con Usa e Ue per mettere Ankara all'angolo. I separatisti curdi sono sotto attacco dal 18 aprile da parte delle truppe turche in nord Iraq, mentre l'esercito iracheno sta mettendo alle strette le milizia yazide alleate del Pkk, cui garantiscono il passaggio dello strategico corridoio che porta nella Rojava, sotto controllo Ypg, ala siriana del Pkk.
La fornitura di armi alla Turchia preoccupa anche la lobby armena negli Usa, sopratutto dopo che le armi turche sono state decisive per far volgere il conflitto in Nagorno Karabakh a favore dell'Azerbaigian lo scorso anno proprio a scapito dell'Armenia. Tuttavia è Erdogan a condurre il gioco ora, un gioco in cui il no all'ingresso di Svezia e Finlandia rappresenta l'ultima carta giocata dal presidente turco e lascia l'iniziativa in mano al collega americano Biden.
Ora tocca alla Casa Bianca decidere se dare priorità all'allargamento, tentando di convincere Erdogan con le forniture di armi richieste e con la fine del sostegno al Pkk e mettendosi contro il Congresso o piuttosto andare al muro contro muro con la Turchia.
Ipotesi quest'ultima che potrebbe spaccare l'Alleanza, far salire la tensione tra Ankara e Washington per l'ennesima volta e indebolire il fianco est Nato in un momento cruciale fino a spingere Erdogan ancora più verso la Russia, Paese cui il presidente turco ha ribadito ieri di non essere disposto a rinunciare.