AGI - In Turchia non è passato inosservato il silenzio del presidente turco Recep Tayyip Erdogan, del suo governo e della diplomazia di Ankara in seguito alla morte della giornalista palestinese di Al Jazeera Shireen Abu Akleh, uccisa da un proiettile sparato da un cecchino israeliano a Jenin lo scorso 11 maggio.
Per i turchi la questione palestinese è un tema di valenza nazionalpopolare, uno dei pochi che vede unito e d'accordo un Paese solitamente diviso su tutto, in cui il malcontento e le critiche verso il silenzio del governo non sono tardate ad arrivare.
Segno evidente di un cambio di strategia da parte del presidente turco, che nel recente passato non aveva mai risparmiato accuse allo stato ebraico definendone spesso le azioni come 'terroristiche'. La non reazione di Erdogan alla morte di Shireen Abu Akleh, così come le parole soft dopo gli scontri nella città santa di Gerusalemme nel mese di aprile, durante il Ramadan, non hanno precedenti.
Basti pensare che nel 2018, proprio in seguito alle accuse pesantissime rivolte da Erdogan per le polemiche relative a Gerusalemme capitale di Israele l'ambasciatore israeliano, da poco tornato a rivestire l'incarico in Turchia dopo 8 anni, fu dichiarato 'persona non grata' e costretto a lasciare il Paese dove era rientrato da poco.
Accuse che negli anni non sono mai mancate e ogni volta la situazione tra i governi si infiammava non appena la tensione a Gaza e nei territori tornava a salire.
Un altro esempio emblematico dell'atteggiamento da sempre tenuto da Erdogan verso Israele è la violenta invettiva con cui nel 2010, allora premier, attaccò il presidente israeliano Shimon Peres durante il World Economic Forum di Davos, accusando lo stato ebraico di uccidere civili e bambini e favorire la carriera politica di chi si era macchiato di atrocità a danno dei palestinesi. Un'uscita che lasciò la platea a bocca aperta e valse al presidente turco il titolo di 'Re di Gaza'.
Polemiche da sempre caratterizzate da toni accesi e accuse pesanti, che però ora Erdogan ha deciso di accantonare, specificando dopo gli scontri di Al Aqsa che "i rapporti tra noi e Israele e la questione palestinese sono argomenti da trattare separatamente".
Erdogan ha preferito avere un colloquio telefonico con il collega israeliano Isaac Herzog, piuttosto che attaccare frontalmente lo stato ebraico in occasione degli scontri del Ramadan a Gerusalemme.
Proprio Herzog lo scorso 9 marzo era stato ospite di Erdogan in Turchia, confermando che il processo di normalizzazione dei rapporti tra i due Paesi era ben avviato. La morte della Akleh, il silenzio da parte degli organi ufficiali di Ankara che ha preso il posto di comunicati di condanna e accuse sono l'ultima conferma di un riavvicinamento (dopo 10 anni) troppo importante per poter essere bruciato sull'altare della questione palestinese.
Israele è forse il Paese più importante tra quelli con cui Erdogan ha avviato un processo di normalizzazione due anni fa. Egitto, Emirati, Arabia Saudita e Armenia sono tutti Paesi significativi per Ankara, che però con Israele probabilmente condivide il numero maggiore di interessi e ambiti di potenziale collaborazione, su cui spicca la questione energetica.
Il silenzio di Ankara dopo gli scontri di Al Aqsa e l'assassinio della giornalista arriva a pochi giorni dal viaggio in Israele del ministro degli Esteri turco, Mevlut Cavusoglu, che il 24 maggio incontrerà nello stato ebraico il collega Yair Lapid. Cavusoglu volerà nello stato ebraico e con lui ci sarà il ministro dell'Energia turco, Fatih Donmez.
Una presenza non casuale, considerando che entrambi i Paesi vogliono portare gli almeno 600 miliardi del giacimento israeliano 'Leviatano' in Europa attraverso la Turchia. Un progetto che avrebbe anche l'approvazione dell'Ue, che con la guerra in Ucraina è costretta a rivedere i propri piani di approvvigionamento energetico. In occasione della recente visita del presidente israeliano Herzog ad Ankara, la prima dal 2007, Erdogan defini' la collaborazione tra Turchia e Israele "una grandissima opportunità per la pace e la stabilità dell'intera regione".
"Una cooperazione tra Turchia e Israele non può non avere un impatto positivo su tutta l'area che entrambi chiamiamo casa", gli fece eco Herzog. Alla luce di quanto avvenuto a Gerusalemme nell'ultimo mese e della tragica morte di Shireen Ab Akleh aumentano i dubbi su cosa intendessero per 'stabilità della regione' i due leader. Erdogan sa che con le elezioni nel 2023 non può permettersi di abbandonare i palestinesi senza incorrere nella delusione del proprio elettorato. Allo stesso tempo la normalizzazione in corso con Israele è troppo importante, dal punto di vista energetico ed economico per essere messa da parte.