AGI - La Repubblica democratica del Congo non ha pace. La violenza, in particolare nella regione del Nord-Est, continua, non si placa e nemmeno gli sforzi di mettere in campo una forza sovranazionale per contrastare i ribelli sembrano avere i risultati sperati. Se in quelle regioni, Kivu e Ituri, operano centinaia di milizie armate, che seminano terrore e orrore tra la popolazione, non è da meno l’esercito regolare.
Un recente documento delle Nazioni Unite, accusa i soldati congolesi di “almeno 231 violazioni” dei diritti umani commesse in nove mesi nel territorio del Nord-Est dove, per altro, è stato dichiarato lo stato di assedio da parte del presidente Felix Tshisekedi, una misura eccezionale che ha conferito pieni poteri ai militari, all’esercito regolare, appunto, nella speranza di porre fine alle violenze dei gruppi armati che operano nella regione.
Ma sarebbe lo stesso esercito a macchiarsi di crimini indicibili: attacchi a persone e luoghi protetti, rapimento, reclutamento e utilizzo di minori, violenze sessuali e torture. Reati tutti denunciati e documentati in una “nota verbale” e 25 pagine di allegati inviati il 22 febbraio scorso al ministro congolese della Difesa dall’Ufficio congiunto delle Nazioni Unite per i diritti umani nella Repubblica democratica del Congo (Unjhro). Alcuni degli abusi elencati nel documento fanno riferimento a “violazioni del diritto internazionale umanitario, che costituiscono crimini di guerra”, sempre secondo l’ufficio delle Nazioni Unite.
I fatti citati nella nota verbale sono avvenuti nel territorio di Masisi, nella provincia del Nord Kivu, tra l’istaurazione dello stato di assedio il 6 maggio 2021 e il 9 febbraio 2022. Gli autori degli abusi, secondo l’Unjhro, sono soldati del 3410esimo reggimento delle Forze Armate della Rdc (Fardc) che erano di stanza nella regione. Nella lettera al ministro della Difesa, l’ufficio delle Nazioni Unite si rammarica che “non sia stata intrapresa alcuna azione per porre fine a queste violazioni e per mettere a disposizione della giustizia i colpevoli”.
Secondo fonti della sicurezza del Nord Kivu, il reggimento incriminato, è ora schierato vicino al confine con l’Uganda, per far fronte ai ribelli dell’M23, un famigerato gruppo armato che semina terrore nell’area. Il portavoce dell’esercito nella regione, il tenente colonnello Guillaume Ndjike, sentito dalla France Presse, ha detto di non essere a conoscenza di queste accuse contro i suoi uomini: “Se devono rispondere, non ci sono problemi ma, per il momento, stanno eseguendo gli ordine della gerarchia, questa è la loro priorità”.
Non è la prima volta che vengono svelati, da parte delle Nazioni Unite, crimini di guerra e violenze contro la popolazione civile della regione da parte dell’esercito regolare, ma non c’è mai stata una condanna, una punizione. Niente. Tutto passa nel silenzio e nell’impunità più assoluta. Le popolazioni, dunque, si trovano tra due fuochi: i ribelli di ogni genere, oltre 100 formazioni, e l’esercito che, invece, dovrebbe essere lì per proteggerli, per assicurare la sicurezza della regione. Invece, spesso, diventano l’incubo peggiore per milioni di persone.