AGI - “La Convenzione internazionale contro le armi chimiche ha garantito nei suoi primi 25 anni di azione risultati straordinari per quel che riguarda lo smantellamento e il controllo delle armi chimiche. Ma ora il conflitto in Ucraina e la spaccatura Oriente/Occidente rischia di mettere tutto in discussione”. A parlare è Diego Mauri, docente di diritto internazionale presso l’Università degli Studi di Firenze.
“La Convenzione, sorta in un momento di disgelo tra i due blocchi della guerra fredda, gode di un impianto giuridico unico, e di un organo di applicazione che l’ha resa nettamente più efficace delle norme di diritto pattizio sulla non proliferazione delle armi nucleari. Ad oggi, la quasi totalità delle dotazioni dichiarate di armi chimiche al mondo è stata smantellata. Il problema è che mantenere lo status quo, ora che si è giunti ad una conflittualità aperta che coinvolge a vario titolo da un lato la NATO e dall’altro la Russia, alla quale comunque è vicina la Cina, sarà una impresa davvero improba.”
Tre sono i fronti problematici che si stagliano all’orizzonte della Convenzione. “In primo luogo, vi è appunto il problema macro-conflittuale tra Occidente e Russia e Cina. Nella loro dichiarazione congiunta in occasione delle Olimpiadi di Pechino, queste ultime due hanno fatto riferimento proprio alla questione delle armi chimiche, sostenendo che il residuo degli armamenti di questo genere sarebbe detenuto dagli Stati Uniti e che l’organismo di controllo introdotto dalla Convenzione oramai sia tendenzialmente sbilanciato a favore degli interessi occidentali".
"In secondo luogo vi è il problema degli attori non statali: la fabbricazione di una arma chimica oramai non è un qualcosa di così ostico e gli elementi di base possono essere reperiti tra quanto utilizzato per scopo civile: il rischio sempre più presente in un contesto globale in subbuglio e che qualche gruppo possa sviluppare il proprio piccolo arsenale chimico. Da ultimo vi è la questione, collegata, del necessario aggiornamento degli elementi tecnici della Convenzione. L’impianto giuridico della stessa si è dimostrato notevolmente preveggente, ma è chiaro che – ad esempio – l’elenco delle sostanze vietate, così come di quelle il cui uso, per fini non militari, è consentito ad alcuni condizioni, va aggiornato.”
“Tutto questo – aggiunge Mauri – potrebbe complicarsi ulteriormente viste le prerogative che gli Stati mantengono, nell'ambito della Convenzione, per quel che riguarda l'investigazione sull'uso di armi chimiche. Fuori dai denti, se qualcosa dovesse avvenire in Ucraina, Russia e Cina potrebbero spingere perché non venga portata avanti una indagine, alzando ancora di più il livello di tensione.”