AGI - Boris Johnson risponde alla valanga di critiche, in patria, cercando di rafforzare la sua traballante leadership attraverso il consenso internazionale. Infatti, mentre il dibattito politico nel Regno Unito è sempre più incandescente, per via delle prove raccolte dalla polizia che inchiodano il primo ministro all’accusa di aver infranto la sua stessa legge relativa alle restrizioni durante i due lockdown, lui vola in India. Giovedì, a Ahmedabad, incontrerà il primo ministro indiano Narendra Modi e annuncerà cospicui investimenti in settori industriali chiave sia per il Regno Unito che per l’India, incluse una serie di nuove partnership nell’ambito scientifico, sanitario e tecnologico.
L’incontro con Modi è stato rimandato per ben due volte, nel 2021, a causa della pandemia, ma oggi assume un valore ancora più rilevante alla luce dell’invasione russa dell’Ucraina. Il primo ministro britannico sta dunque cercando chiaramente di giocare la carta della Global Britain per uscire dal pantano domestico, nella speranza che, dopo la Brexit, funzioni anche in questa circostanza.
Oggi però la situazione nel Regno Unito è più complessa rispetto al referendum del 2016 o alla vittoria schiacciante di Johnson del 2019. Innanzitutto l’opinione pubblica è costernata. Troppe persone hanno perso i familiari a causa del Covid senza avere l’occasione per un ultimo saluto, e il comportamento irriguardoso e illegale del primo ministro, che invece promuoveva e partecipava a eventi conviviali a Downing Street, suona come uno schiaffo in faccia.
Inoltre, il 5 maggio, si terranno le elezioni locali per il rinnovo dei consigli distrettuali di Londra e per tutte le autorità locali del Galles e della Scozia. L’appuntamento è considerato da molti un referendum sull’operato di Johnson; tenuto conto che, secondo un recente sondaggio di YouGov, il 62% degli intervistati è convinto che si dovrebbe dimettere, le previsioni non sembrano favorevoli.
A tutto questo si aggiunge il fatto che l’opposizione è sul piede di guerra.
I parlamentari saranno infatti chiamati giovedì a votare su una mozione presentata dal leader dell’opposizione Keir Starmer presso il Comitato dei Privilegi alla Camera dei Comuni, al fine di verificare se Boris Johnson ha mentito in Parlamento. In questo caso, da regolamento, sarebbe costretto a dimettersi.
Sebbene i conservatori detengano ben 80 seggi in più rispetto ai laburisti, e quindi difficilmente la mozione passerà, la risonanza mediatica sarà comunque notevole. I parlamentari potrebbero infatti chiedere e ottenere di vedere la versione completa dell'indagine dell'alto funzionario Sue Gray sulle feste a Downing Street e qualsiasi potenziale prova fotografica esistente.
Insomma, se anche il voto di domani dovesse essere a favore di Johnson, la sua reputazione non ne gioverà. Una fonte del partito laburista ha dichiarato: "Qualsiasi parlamentare conservatore che pensi di votare per bloccare questa indagine voterebbe per un insabbiamento”. A ridosso delle elezioni salvare Johnson potrebbe dunque rivelarsi un boomerang.
L’incontro fra Johnson e Modi avverrà proprio durante il dibattito alla Camera dei Comuni. Incontro non privo di spine. L’India è infatti, storicamente, un alleato strategico e consolidato per la Russia, specialmente per compensare il dominio americano e cinese in Asia. I legami diplomatici sono così stretti che, persino in seno all’ONU, l’India si è rifiutata di sostenere la risoluzione che condannava l’invasione russa. In questo scenario, Boris Johnson proverà a cercare il sostegno per la causa ucraina ma non sarà facile.
L'Occidente vorrebbe infatti che l'India non aumentasse le importazioni di combustibili fossili dalla Russia e non siglasse nuovi accordi sulle armi. Vorrebbe inoltre che il Paese non intervenisse per colmare il gap lasciato dalle compagnie occidentali che hanno abbandonato il Paese sulla scia delle sanzioni internazionali.
Johnson, prima di partire, ha dichiarato: “L’'India è un partner strategico molto importante per il Regno Unito in questi tempi incerti", e ha continuato: "Mentre affrontiamo le minacce alla nostra pace e prosperità da parte degli stati autocratici, è fondamentale che le democrazie e gli amici rimangano uniti".
L’India è però riluttante ad allentare i legami con la Russia. Il timore è che una mossa del genere avvicini Putin alla Cina col rischio di ulteriori tensioni ai confini fra India e Cina.
Anche nel caso in cui Johnson dovesse riuscire a convincere Modi a fare dei passi in direzione degli alleati occidentali, l’India difficilmente taglierà completamente i ponti per paura di essere marginalizzata in Asia. Johnson lo sa bene e punterà a consolidare un’amicizia diplomatica sul lungo termine.
Negli ultimi dieci anni, l’India ha diversificato la sua importazione di armi. Ha infatti incentivato gli acquisti da Stati Uniti, Francia, Israele, Australia e Giappone. In questo modo ha ridotto la dipendenza dall’approvvigionamento russo del 30%, passando da un 80% di circa una decade fa al 50% di oggi.
La scorsa settimana, i media indiani, hanno riportato che il Paese ha cancellato un accordo per acquistare 48 elicotteri Mi-17 V5 dalla Russia. Nonostante questo, però, l’esigenza di tenere buoni gli alleati occidentali e la necessità di rimanere in buoni rapporti con il Cremlino non ha trovato una soluzione. L’India continua infatti a comprare materiale strategico militare dalla Russia.
Recentemente ha acquistato, per 5 miliardi di dollari, cinque missili terra-aria S400, mossa che ha irritato gli Stati Uniti al punto da minacciare sanzioni. I sottomarini nucleari indiani sono di fabbricazione russa cosi come la maggior parte degli arsenali militari.
Nonostante Downing Street non possa competere col Cremlino su questo piano, Johnson pensa di poter offrire qualcosa di più strategico, e cioè la coproduzione di tecnologie militari altamente avanzate. L’idea è che sussidiarie britanniche costruiscano sul suolo indiano, con compagnie locali, armamenti altamente sensibili. Questo potrebbe allettare Modi ma rimane comunque un progetto a lungo termine. Nel frattempo Boris Johnson dovrà tornare in patria, e affrontare l’ondata di sfiducia che accenna a placarsi.