AGI - Il ruolo giocato dal presidente turco Recep Tayyip Erdogan nel tentativo di mediare nella crisi Ucraina ha riportato la Turchia al centro della Nato, all'interno della quale Ankara ha guadagnato credibilita' e forza con gli sviluppi delle ultime settimane.
Pur avendo fatto valere un canale di dialogo autonomo e indipendente dall'Alleanza con il presidente russo Vladimir Putin infatti, Erdogan ha mantenuto fede agli impegni Nato e garantito sostegno all'Ucraina con la ferma condanna dell'invasione russa. Sostegno non solo politico e diplomatico, ma anche militare, attraverso i droni turchi usati dall'esercito di Kiev e umanitario, con circa 60 mila profughi ucraini accolti, il doppio rispetto alla Gran Bretagna.
Ankara, come richiesto dalla stessa Nato, non ha tardato a chiudere il passaggio alle navi da guerra degli stretti del Bosforo e Dardanelli che conducono al Mar Nero. Una centralità ritrovata da parte del Paese che vanta il secondo esercito all'interno dell'Alleanza, ma che era stato ripetutamente tacciato di aver spostato il proprio baricentro verso l'Eurasia, in particolare dopo l'acquisto del sistema di difesa missilistico russo s-400. Accuse riaffaciatesi al rifiuto di Ankara di applicare sanzioni economiche nei confronti della Russia, contromisure economiche cui in realta' Erdogan non ha mai creduto.
Tuttavia l'insistenza con cui Erdogan ha cercato e continua a cercare una mediazione, gli sforzi del presidente turco di far sedere allo stesso tavolo Putin e il leader ucraino Volodimir Zelensky ha fatto aumentare il peso di Ankara in Occidente. Erdogan ha messo sul tavolo la centralita' del proprio Paese, non solo alla luce dell'arsenale militare della Turchia, ma anche della posizione geografica che rendono Ankara guardiano degli stretti che portano al Mar Nero e lo scudo del fianco est dell'Alleanza Atlantica.
Non è un caso che nel mese di marzo, oltra all'incontro tra i ministri degli Esteri di Russia e Ucraina, in Turchia si siano avvicendati il cencelliere tedesco Olaf Scholz, il premier olandese Mar Rutte e greco, Kyriakos Mitsotakis, il presidente polacco Andrzej Duda, il segretario generale della Nato Jens Stoltenberg e l'Alto rappresentante per la Politica Estera dell'UE, Joseph Borrell.
The EU deplores the Russian authorities’ decision to impose a travel ban on a number of EU nationals in retaliation for EU sanctions linked to the Russian invasion of Ukraine.
— Josep Borrell Fontelles (@JosepBorrellF) April 1, 2022
The EU continues to demand that Russia ceases the aggression against #Ukraine.https://t.co/CeBfRBTPdc
Durante il vertice Nato del 24 marzo scorso a Bruxelles Erdogan ha avuto importanti faccia a faccia anche con il presidente francese Emmanuel Macron e con i premier di Gran Bretagna e Italia, Boris Johnson e Mario Draghi.
Una centralità riconosciuta anche dalla stampa internazionale, che negli ultimi anni non ha mai mancato di criticare una deriva autoritaria e falle nel sistema democratico turco dovute alle politiche di Erdogan e ora plaude all'opera diplomatica della Turchia, portata avanti mantenendo fede agli impegni Nato.
Il riconoscimento e il plauso guadagnato da Erdogan non sembrano aver però fatto breccia alla Casa Bianca. La strategia politica e comunicativa seguita dal presidente americano Joe Biden durante tutta la crisi ucraina erano evidentemente mirate a riportare gli Stati Uniti al centro dell'Alleanza, mettendo sul piatto il peso militare dell'America nel confronto muro contro muro con Mosca. I media turchi hanno sottolineato come un incontro tra Erdogan e Biden a Bruxelles non ci sia stato 'nonostante l'insistenza di Ankara'.
Poco male per Erdogan, che nella conferenza stampa post vertice non solo ha ribadito l'impegno per una mediazione tra Putin e Zelensky, ma si e' spinto a chiedere che l'Occidente abolisca le sanzioni in vigore nei confronti dell'industria turca, in particolare dell'industria della Difesa. Sanzioni volute proprio dagli Usa nell'ambito delle polemiche seguite l'acquisto di s-400.
La volontà di Erdogan di tirare dritto nasce dagli ottimi rapporti sia con Mosca che con Kiev, ma anche dal fatto che questa guerra costa alla Turchia decine di miliardi di dollari (almeno 50 nelle prime due settimane secondo la Confindustria turca) mentre il Paese e' attanagliato dalla peggiore crisi economica degli ultimi 20 anni e le elezioni del 2023 si avvicinano.
La guerra ha spostato i riflettori dei media di tutto il mondo da altri argomenti, nel caso specifico della Turchia inflazione, aumento dei prezzi e crisi economica hanno lasciato il posto a bombe e carri armati e alla centralità strategica e importanza diplomatica di Ankara. Un'iniezione di consenso per Erdogan, che ora ha l'opportunità di chiedere di eliminare sanzioni nei confronti della Turchia, riannodare i rapporti con i Paesi europei, con cui fa valere anche la carta dell'energia.
Ankara e l'Europa condividono la necessita' di trovare fonti di approvvigionamento alternative al gas russo e le ipotesi al vaglio riguardano i giacimenti di Israele, Azerbaijan o Kurdistan iracheno. Tutte opzioni destinate a passare dalla Turchia, che ancora una volta vanta la posizione e il potenziale infrastrutturale per convogliare l'energia verso l'Europa.