AGI - Armi, gas, grano. America, Russia, Cina. Sono le carte di Joe Biden, due tris. Al tavolo c'è anche un poker "coperto", il buono (Biden), il bello (Trudeau), il brutto (la guerra) e il cattivo (Putin). È un gioco letale, chi pensa che Joe Biden non lo conosca, si sbaglia, è uno dei politici di lungo corso dello scenario americano, la guerra per lui non è l'ignoto. È stato il vice di Obama, ha preso decisioni nella "Long War" contro il terrorismo, era nella "situation room" quando venne ucciso Osama Bin Laden, si è già scontrato con Vladimir Putin in Siria, quando l'uomo del Cremlino inviò i caccia bombardieri Sukhoi per evitare il crollo del suo alleato Assad.
E ora un'altra guerra, combattuta con la stessa tattica: radere al suolo le città dall'alto per limitare le perdite, scatenare l'esodo e poi colpire i civili per demoralizzare la resistenza. Solo che questa volta il conflitto è nel cuore dell'Europa. Biden non può ignorarlo.
Il problema numero uno è militare - sconfiggere l'Armata Rossa - poi c'è quello geopolitico: il nuovo ordine mondiale fondato sulle forniture di energia, le ambizioni della Cina e l'alleanza del Dragone con la Russia.
In fondo era anche il problema di Trump. E infatti all'inizio del vertice della Nato, Biden chiede agli alleati di aprire il portafoglio, aumentare il loro contributo all'Alleanza, sa che non possono dire di no. Ma "non scambiatemi con il mio predecessore", cha ha bistrattato l'Alleanza (perche' "obsoleta") e minacciato l'uscita degli Stati Uniti.
"So che non vi ha trattati molto bene", avrebbe ironizzato il capo della Casa Bianca, scatenando un'ondata di risate in sala. (A dire il vero, ogni singolo presidente americano ha spinto gli alleati a spendere di più per la difesa, The Donald lo ha fatto a modo suo). L'Alleanza atlantica, che anche Macron definì "cerebralmente morta", per Biden "è più forte e unita che mai". Il presidente Usa promette di far scontare a Mosca "il prezzo di questa offensiva brutale". E se Vladimir Putin aveva scommesso su una Nato spaccata, "ha ottenuto come risultato esattamente il contrario".
Da navigato uomo della politica estera, Biden sa bene che per far finire la guerra serve una mediazione. I suoi migliori candidati sono due: Erdogan e Xi, Turchia e Cina, con entrambi e' stata quiete e tempesta.
Nel 2016 quando Biden era alla Casa Bianca con Obama, durante il colpo di Stato a Ankara, tra la Turchia e gli Stati Uniti scese il gelo, il presidente turco accusava l'amministrazione americana di aver orchestrato il golpe di luglio con l'oppositore Gulen, guarda caso in esilio in America; con Xi lo spartito è sempre stato complicato, al limite della rottura, salvato ogni volta dalla globalizzazione, dai porti della Cina e dagli scali americani del Pacifico.
Con Erdogan è tornata la quiete, con Xi è ancora tempesta ma da Bruxelles Biden ha teso un ramoscello d'ulivo realista: "Non servono minacce, il futuro economico della Cina è legato più all'Occidente che alla Russia e Xi Jinping ne è consapevole". Servirà un'altra telefonata, un altro vertice sino-americano annunciato da Biden per il primo aprile.
L'altro attore del potenziale negoziato, Biden lo ha a portata di mano a Bruxelles, Erdogan. Gli stringe calorosamente la mano, i due leader parlano per qualche minuto, il presidente turco ascolta e annuisce, quasi un ringraziamento per la parole dell'americano. Erdogan ha due cose che servono a Biden, il dialogo con Mosca e il suo sistema di difesa anti-missile S-400. C'è solo un problema, o l'uno (la mediazione), o l'altro (l'arma). Erdogan si è offerto a più di riprese di mediare.
E Trudeau? Nel giro di carte di Biden, il premier canadese ha una parte rilevante, perché il suo Paese non è solo un grande produttore di energia (gas e petrolio) ma anche di grano, l'altra materia prima che la guerra in Ucraina ha reso rara e preziosa. "Al G7 abbiamo parlato di come i grandi produttori, Canada e Stati Uniti, possano incrementare la produzione di grano e distribuire piu' cibo nel mondo", spiega Biden.
Trudeau dunque ha un compito preciso e lo svolgerè. A Biden resta da leggere la carta del cattivo Putin, puo' essere affrontato sul terreno dell'Ucraina con le armi, ma per sconfiggerlo occorre indebolirlo in casa.
Ecco dunque le nuove sanzioni contro l'establishment russo, ovvero la Duma con i suoi 328 legislatori (proprio come aveva chiesto al Congresso americano il presidente Volodymyr Zelensky), il direttore esecutivo della più grande banca russa (Sberbank), Herman Gref, nonche' il miliardario Gennadi Timchenko. Nel mirino anche 48 imprese della difesa. "Beneficiano direttamente delle politiche del Cremlino e dovrebbero condividerne le sofferenze", spiega via Twitter il comandante in capo. Siamo solo all'inizio di una lunga partita che per ora senza pace.