AGI - “La guerra in corso in Ucraina è sintomatica delle tendenze ossessive, della visione paranoica di Vladimir Putin in materia di politica estera e di geopolitica. Notoriamente nostalgico dell’Urss, strumentalizza la Storia per metterla a servizio della sua verità e di un programma ideologico che sta attuando con una spinta vendicativa”. In un’intervista all’AGI Marie-Pierre Rey, professore di storia dell’Unione sovietica e della Russia all’Università Parigi I Sorbona, ha analizzato in questi termini le principali dinamiche in atto nell’invasione russa del Ucraina.
“A quasi tre settimane dal suo inizio, le conseguenze di questa guerra sono già devastanti e devastatrici. In barba al diritto internazionale, uno Stato europeo, la cui popolazione civile è colpita ogni giorno da crescenti violenze, sta combattendo con tutte le forze per la sua indipendenza e sopravvivenza” ha detto la studiosa francese. La Russia, invece, sotto il peso delle sanzioni, è sempre più emarginata sulla scena internazionale e la sua economia comincia a vacillare. Per giunta è in pericolo la stabilità di tutta l’Europa. Oltre a queste ripercussioni gravose, il conflitto sta anche ipotecando il futuro delle relazioni russo-ucraine.
Putin e l'Ucraina
Ufficialmente “l’operazione militare speciale”, lanciata lo scorso 24 febbraio, ha come obiettivo ufficiale l’aiuto alle repubbliche indipendentiste del Donbass, presumibilmente vittime di un genocidio, la “denazificazione” del governo ucraino oltre all’eliminazione di uno Stato “artificiale” considerato dal capo del Cremlino un burattino dell’Occidente. La docente universitaria ha sottolineato come per Vladimir Putin “l’Ucraina non ha motivo di esistere come Stato indipendente visto che è parte integrante dell’insieme russo”.
In merito alla veridicità di tali affermazioni, l’esperta di relazioni internazionali, ha valutato come “senza senso” l’accusa di genocidio e di simpatie naziste formulate da Mosca nei confronti del governo ucraino. Una nota critica – ha fatto notare Rey – riguarda invece il progetto, messo in atto dal giovane Stato ucraino a partire dal 2014, di revocare l’uso ufficiale della lingua russa: una decisione che a Mosca non poteva rappresentare altro che una provocazione, un errore nei confronti delle popolazioni russe e russofone d’Ucraina. Ma, in alcun modo, in Ucraina viene attuato un ‘genocidio’ sia nei confronti dei cittadini russi che degli ucraini russofoni.
Per quanto riguarda il carattere presumibilmente nazista dell’esecutivo di Kiev, la direttrice del Centro di ricerca in storia degli Slavi dell’Istituto Pierre Renouvin, ha sottolineato che “non ha alcun senso”: si tratta di “un’argomentazione essenzialmente rivolta all’opinione interna russa, in particolare alla sua fascia di popolazione più anziana, in cui il ricordo della Seconda Guerra mondiale rimane ancora oggi molto vivo.”
La storica francese ha ricordato che, effettivamente, durante quel conflitto, in Ucraina si formarono dei gruppuscoli nazisti e un esercito nazionale ucraino che combatterono accanto alla Germania nazista con la speranza di ottenere un sostegno al progetto di costruzione di uno Stato indipendente. Tuttavia tali movimenti furono minoritari rispetto alle decine di migliaia di partigiani ucraini che lottarono per liberare l’Unione sovietica e furono leali nei confronti del regime stalinista, nonostante un passato recente doloroso. In effetti, negli anni ‘30 nel Paese milioni di contadini ucraini, ostili alla collettivizzazione delle terre, furono eliminati o deportati nei gulag.
Se si guarda alla storia recente
A partire dal 2014 e ancora oggi, in Ucraina è operativo il battaglione Azov, paragonabile a un’unità paramilitare di ideologia neo-nazista, ma alla vigilia dell’intervento militare russo dello scorso 24 febbraio, contava tra 3 e 5 mila uomini, circa un centesimo di tutti gli effettivi dell’esercito ucraino. In termini numerici ha quindi un posto irrilevante nelle forze armate nazionali così com’è marginale l’influenza dell’ideologia nazista nell’odierna società ucraina.
A questi aspetti si aggiunge il fatto che lo stesso presidente Volodymyr Zelensky è russofono e di origine ebraica, pertanto “difficilmente sospettabile di indulgenza nei confronti di tali movimenti di estrema destra” ha proseguito Rey.
Per la docente della Sorbona, l’identità nazionale ucraina è un altro aspetto cruciale che va preso in considerazione per analizzare la natura dei rapporti tra Russia e Ucraina e cercare di capire la trama storico-politica della guerra in atto.
Il discorso di luglio 2021
In quell'occasione il presidente Putin ha rilanciato un’argomentazione già evocata in passato, secondo la quale l’Ucraina sarebbe soltanto parte integrante di un ‘insieme russo’, pertanto non detentrice di un’identità nazionale. Tale lettura presentata dal capo del Cremlino, secondo Rey, è riemersa “per legittimare anticipatamente la futura aggressione militare” ed è in realtà “il frutto di una costruzione storica forgiata nel corso del XIX secolo nell’impero degli zar, protrattasi fino ad oggi nella testa di numerosi russi, tra cui quella di Putin”.
Tale argomentazione mette in prima linea l’origine comune dei popoli russo e ucraino – entrambi slavi orientali – la prossimità delle due lingue e la storia comune, segnata in particolare dal battesimo ricevuto da Bisanzio nel 988 oltre al lungo ‘compagnonnage’ dei due popoli che hanno allacciato legami familiari spesso stretti. Come conseguenza di tale rappresentazione, l’Ucraina, chiamata a Mosca ‘Piccola Russia’, sarebbe soltanto una declinazione regionale della ‘russità’.
Nei fatti la storia non è andata proprio così in quanto l’Ucraina è stata a lungo oggetto di contesa tra Polonia e Russia, cambiando più volte dominio. Per giunta la storia dell’Ucraina e della Russia non si sono sempre intersecate: la parte occidentale dell’Ucraina non è stata sottomessa al giogo mongolo e ha fatto parte dell’Unione polacca-lituana, a contatto con la quale ha risentito dell’influenza della Polonia e si è aperta all’Occidente cattolico. La Russia moscovita ha invece avuto un’altra traiettoria.
Le prime manifestazioni dell’affermarsi di un sentimento nazionale ucraino risalgono al 1830-40 con alcuni scrittori, tra cui il poeta Taras Shevchenko, che cominciarono ad esprimere quest’idea, allora duramente repressa dallo Stato imperiale nonché respinta da buona parte delle élite russe. Successivamente, la scomparsa dell’Impero zarista, nel febbraio 1917, è sembrata poter favorire l’emergenza di uno Stato ucraino indipendente, ma i suoi contorni territoriali erano ancora imprecisi.
Tra il 1917 e il 1921 l’Ucraina fu poi devastata dalla guerra civile e dall’intervento straniero, quindi non potendo contare su alcun sostegno internazionale durante i negoziati dei Trattati di pace degli anni 20-21, fu costretta a rientrare nell’ordine sovietico, dando apparentemente ragione al “fratello maggiore” russo.
“In realtà il sentimento nazionale ucraino non è scomparso e il ricordo delle speranze indipendentiste di quei anni è riaffiorato precisamente all’inizio degli anni ’90, nel contesto delle convulsioni successive alla fine della Guerra fredda e alla dissoluzione dell’Unione sovietica” ha proseguito la docente di storia della Sorbona.
Guardando alla storia degli ultimi 30 anni, nella prospettiva del capo del Cremlino “la scomparsa dell’Urss ha rappresentato una perdita che non ha mai accettato, un trauma dal quale non si è mai ripreso. Stato d’anima di cui l’Occidente ha sicuramente minimizzato la portata” ha evidenziato l’interlocutrice dell’AGI.
Durante gli anni ’90, se la fine della Guerra fredda ha suscitato sollievo e ottimismo nei leader occidentali e nelle élite dei loro Paesi, in una Russia indebolita dalla perdita della sua aurea ideologica, del suo impero est-europeo e poi delle sue ex repubbliche che formavano l’Urss, si è invece manifestato “un crescente risentimento, un’ostilità e successivamente uno spirito di rivincita incarnato da Putin e di cui l’Ucraina è oggi vittima” ha valutato l’autrice di diversi libri sulla storia sovietica e russa, tra cui “Alexander I: The Tsar who defeated Napoleon”.
In questo risentimento, un elemento di primo piano riguarda il modo in cui è stato gestito il periodo post Guerra fredda, soprattutto dal 1999 in poi. “Molte decisioni prese sul versante occidentale sono state percepite su quello russo come errori, a cominciare dalla politica americana, forse troppo rapida, di ampliamento della Nato” ha fatto notare Rey.
In quattro ondate di adesioni successive, la Nato si è spinta verso Est, in un’area che fino a pochi anni prima era sfera d’influenza diretta dell’Unione sovietica. Nel 1999 è toccato a Polonia, Ungheria e Repubblica Ceca, seguite tra il 2004 e il 2007 dai Paesi baltici. Ad entrare nell’Alleanza nel 2009 sono stati Albania e Croazia, nel 2017 il Montenegro e altri Paesi si sono poi dichiarati candidati.
La Russia e la Nato
“Lo Stato russo ha difficilmente accettato l’ingresso nella Nato delle ex democrazie popolari satelliti. Si è sentito isolato nella sua ex zona d’influenza ma anche umiliato dal fatto che questi Paesi ormai indipendenti affermavano di voler voltare pagina sulla loro sottomissione forzata a Mosca per raggiungere i valori europei in materia di libertà e Stato di diritto” ha ancora analizzato la docente universitaria.
A tempo stesso, secondo la studiosa francese, alla luce del gravoso passivo storico, era difficile puntare il dito o vietare ai Paesi baltici, a ungheresi, cechi e polacchi di entrare in un’alleanza militare che si impegnava a proteggerli, mentre l’Unione europea, senza difesa comune, non era allora in grado di dare le stesse garanzie.
A Mosca, il risentimento è aumentato di livello quando a sua volta, nel 2008, l’Ucraina ha cominciato a guardare in direzione della Nato per ottenere la sua protezione, rinnovando la richiesta nel 2013 e dopo l’elezione di Zelensky, nel 2019. A maggior ragione quando l’Ucraina si è rivolta all’Ue, quale modello politico.
“Per le autorità russe, l’ingresso dell’Ucraina - considerata parte integrante dell’ex impero degli zar ed ex repubblica sovietica – nella Nato è insopportabile, in primis per ragioni di sicurezza, in quanto l’Alleanza si troverebbe posizionata ai confini immediati” ha fatto notare la studiosa di Russia. Ma, guardando alla storia recente nella stessa prospettiva, è stato altrettanto insopportabile il “desiderio di Europa” espresso dall’Ucraina e la sua volontà di entrare nell’Ue.
“È proprio su questo punto che politica interna e politica estera di Mosca si ricongiungono – ha evidenziato Rey – Da 20 anni la Russia di Putin è scivolata verso un regime sempre più autoritario, in cui libertà pubbliche e diritti umani sono calpestati, la giustizia è agli ordini di uno Stato di polizia, in cui i media vengono imbavagliati e ogni forma di opposizione repressa”.
Al contrario, in modo sempre più netto, il giovane Stato ucraino ha espresso la volontà di avvicinarsi all’Ue per adottarne valori, modello politico e costituirsi in uno Stato di diritto. “L’Ucraina porta in sé un progetto di rottura, valutato da Mosca come sovversivo in quanto in prospettiva potrebbe favorire il contagio democratico in Russia” ha prospettato la professoressa universitaria. Di conseguenza, tra le possibili cause scatenanti dell’intervento militare russo rientra proprio la volontà dello Stato ucraino di essere protetto dalla Nato e di evolversi in uno Stato di diritto, sul modello europeo, agli antipodi del “percorso dittatoriale” della Federazione di Russia.
L'Occidente, la guerra e gli errori di Putin
“L’Occidente ha cercato di scongiurare lo scenario di un conflitto: a soli pochi giorni dal suo scoppio, il presidente Emmanuel Macron, nel semestre di presidenza francese del consiglio dell’Unione europea cominciato lo scorso 1 gennaio, ha proposto di rilanciare il processo di sicurezza collettiva in Europa, al quale Putin non ha risposto” ha ricordato la studiosa francese.
Analizzando la strategia militare e politica dell’operazione di Mosca, Rey ha messo in risalto il suo “ulteriore non senso” nelle modalità con cui viene attuata sul terreno. Da un lato Putin pretende intervenire a nome della fratellanza tra russi e ucraini, ma dall’altro le sue forze stanno bombardando con un evidente accanimento la regione orientale dell’Ucraina, in particolare le città russofone di Mariupol e Kharkiv, che stanno diventando città martire.
Per giunta, ha evidenziato la ricercatrice, è una contradizione in termini affermare agire a nome dell’ortodossia comune e bombardare Kiev, “culla della russità ortodossa”. Un altro errore di giudizio manifesto commesso da Putin è quello di aver affermato il carattere artificiale dello Stato ucraino, negando l’esistenza dell’identità nazionale ucraina.
“Questo giovane Stato, nato in modo fragile nei sussulti della Guerra fredda, si sta compattando e rafforzando attorno alla figura del suo giovane presidente, nella dura prova della guerra e della resistenza” ha ancora sottolineato la docente universitaria francese. Di fronte ai russi, l’Ucraina avrà presto i suoi martiri, i suoi eroi e una memoria di guerra, all’altezza dei sacrifici compiuti.
In prospettiva, ha concluso Rey, “qualunque sia l’esito del conflitto, per due popoli in passato così vicini, non ci potrà più essere intesa né fratellanza. Da questo punto di vista, la disfatta russa è inevitabile”.