AGI - Il sospetto del sostegno della Cina alla Russia e l'accusa della Cina agli Usa di diffondere false informazioni hanno segnato le sette ore di colloqui "schietti" e "intensi" tra Cina e Stati Uniti che si sono tenuti a Roma, e che non hanno prodotto una posizione comune sulla guerra in Ucraina, né appianato le divergenze nelle relazioni bilaterali.
Durante l'incontro tra il direttore della Commissione Affari Esteri del Partito Comunista Cinese, Yang Jiechi, e il consigliere per la Sicurezza Nazionale Usa, Jake Sullivan, sono riemerse le tensioni che scandiscono il rapporto tra Pechino e Washington, a cui si sono aggiunti i sospetti degli Stati Uniti per il possibile ruolo di Pechino nella crisi ucraina: gli americani hanno espresso la loro "profonda preoccupazione per l'allineamento della Cina con la Russia", sottolineando - secondo quanto riferito dal portavoce del Dipartimento di Stato Usa, Ned Price - che una tale posizione avrebbe "implicazioni" per gli Stati Uniti e per i loro alleati.
Yang ha risposto avvertendo apertamente gli Stati Uniti di "non diffondere false informazioni che distorcono o screditano la posizione della Cina" rispetto alla crisi ucraina, un riferimento indiretto alle rivelazioni del Financial Times, secondo cui Mosca avrebbe chiesto il sostegno di Pechino all'inizio dell'invasione dell'Ucraina, e gli Stati Uniti si stanno preparando ad avvertire gli alleati che la Cina potrebbe apprestarsi ad aiutare la Russia. Pechino, ha ribadito Yang, è per la "massima moderazione" da parte di tutti nella crisi in Ucraina: vuole proteggere i civili ed evitare una crisi umanitaria su larga scala, ma per affrontare la crisi, ha avvertito l'alto diplomatico cinese, occorre andare all'origine del problema e "rispondere alle legittime preoccupazioni di tutte le parti", con un implicito richiamo alle preoccupazioni manifestate da Mosca per l'allargamento a est della Nato.
Oltre al conflitto in Ucraina, le sette ore di colloqui romani tra Cina e Stati Uniti hanno affrontato il tema delle relazioni bilaterali. È stato raggiunto un "consenso", stando a quanto riferisce l'emittente televisiva statale China Central Television, per migliorare la comprensione reciproca e rafforzare la cooperazione, ma "nell'attuale situazione internazionale, Cina e Stati Uniti dovrebbero rafforzare il dialogo, gestire adeguatamente le divergenze ed evitare conflitti e scontri".
Taiwan rimane la linea rossa da non oltrepassare per Pechino, e il nodo più intricato delle relazioni bilaterali. La questione dell'isola si è dimostrata tale anche nel colloquio tra Yang e Sullivan, "pianificato da lungo tempo", fa sapere la Casa Bianca, e "tempestivo e importante in questo momento di crisi".
La Cina accusa gli Stati Uniti di "parole e azioni sbagliate" e avverte che sostenere le "forze separatiste", come Pechino definisce l'amministrazione di Taipei guidata da Tsai Ing-wen, "non avrà mai successo". Pechino rivendica la sovranità sull'isola su cui ha innalzato la pressione diplomatica, economica e militare: mentre a Roma Yang e Sullivan discutevano dei dossier più caldi della politica internazionale, tredici aerei militari cinesi hanno violato lo spazio aereo di Difesa dell'isola, in una delle maggiori incursioni, per numero di velivoli coinvolti, dal 23 gennaio scorso.
Gli Stati Uniti, ha detto Yang, devono "riconoscere l'elevata sensibilità della questione di Taiwan", ed evitare di "scendere sempre più in basso lungo una strada molto pericolosa". Non c'è spazio, infine, neppure sulle questioni che destano la preoccupazione degli Stati Uniti e della comunità internazionale, ovvero quelle dello Xinjiang - dove Pechino è accusata di pesanti violazioni dei diritti umani ai danni della minoranza uigura - del Tibet e di Hong Kong. "Sono affari interni della Cina", ha scandito l'alto diplomatico di Pechino, "che non consentono interferenze da parte di forze esterne".