AGI - Per l’Africa, la guerra in Ucraina, potrebbe rappresentare la tempesta perfetta. I paesi africani potrebbero essere colpiti duramente da qualsiasi arresto delle esportazioni di grano dal paese in guerra. Secondo l’Istituto tedesco di Kiel per l’economia mondiale (Ifw) la guerra potrebbe danneggiare significativamente la “fornitura di cereali usati per la produzione di cibo nel continente africano rendendolo più costoso”.
E i primi segnali cominciano ad arrivare. In molti paesi il rincaro dei beni di prima necessità inizia a farsi sentire. In particolare il pane che sta aumentando un po’ ovunque e i governi non sanno bene cosa fare per calmierare i rincari e impedire che l’inflazione raggiunga numeri insostenibili per le popolazioni. Occorre ricordare che nel continente africano, abitato da circa 1,2 miliardi di persone, ben 465 milioni vivono sotto la soglia di povertà, con già difficoltà ad avere il cibo per il sostentamento quotidiano.
Con questa crisi internazionale ciò potrebbe aggravarsi ulteriormente. Gli strumenti, nelle mani dei governi per calmierare i prezzi dei generi alimentari sono insufficienti o non applicabili, come invece accade in altri parti del mondo, quello più ricco. Dovrebbero immettere nei mercati valuta, che non hanno, oppure fare debito, una strada impraticabile visto il già alto indebitamento dei paesi dell’Africa subsahariana.
Sempre secondo l’Ifw tra i paesi più colpiti potrebbe esserci la Tunisia, dove le importazioni totali di grano del Paese potrebbero diminuire di oltre il 15%. L’Egitto potrebbe importarne il 17% in meno, mentre il Sudafrica il 7% in meno. Paesi, questi, che hanno economie ben più solide rispetto alla stragrande maggioranza di quelli africani.
Un’interruzione delle importazioni di grano riguarderà il Camerun, l’Algeria, l’Etiopia, il Kenya, l’Uganda, il Marocco, il Mozambico e lo Zimbabwe, un tempo definito il granaio dell’Africa. Ma le misure economiche dissennate e bulimiche dell’ex dittatore, Robert Mugabe, che ha proceduto nel tempo alla nazionalizzazione delle farme, hanno messo in ginocchio il paese riducendo sensibilmente la produzione di grano.
Alcuni paesi cercano di mettere in atto politiche che possano salvaguardare le riserve interne. Il magnate nigeriano, Aliko Dangote – l’uomo più ricco dell’Africa – ha esortato il governo del suo paese ha bloccare le esportazioni di mais per garantire la sicurezza alimentare. Secondo Dangote l’effetto del conflitto ucraino potrebbe non essere immediato “ma l’effetto a catena della guerra sulla produzione alimentare verrà sentito nei prossimi due o tre mesi”. Ma la Nigeria, uno dei maggiori produttori ed esportatori di petrolio dell’Africa Subsahariana, sta già sentendo l’effetto dell’innalzamento dei prezzi del petrolio. Sono ripetute e insistenti le proteste per l’aumento della benzina.
Un altro paese, l’Etiopia, ha annunciato un piano per aumentare fino a 400mila ettari, rispetto agli attuali 160mila, la superficie dedicata alla coltivazione di grano estivo. Secondo le informazioni fornite dal direttore per lo sviluppo delle colture presso il ministero dell’Agricoltura, Isayas Lemma, l’Etiopia intende raggiungere l’autosufficienza e diventare un esportatore netto di cereali. Secondo le previsioni fatte dal ministero l’obiettivo è riuscire ad avere un raccolto di circa 1,6 milioni di tonnellate. Addis Abeba è uno dei primi tre produttori di grano in Africa insieme a Egitto e Marocco.
Tutto ciò, inoltre, si scontra con la precarietà endemica dell’Africa dal punto di vista alimentare. Si moltiplicano le regioni che devono fare i conti con la ciclicità, sempre più frequente, della siccità dovuta ai cambiamenti climatici e dall’insicurezza che rende impossibile l’implementazione di qualsiasi attività economica. Il Corno d’Africa e il Sahel sono tra le aree più colpite. Ma non sono da meno altri paesi dove la gravità della situazione ha raggiunto livelli inimmaginabili. Secondo l’Ufficio per il coordinamento degli affari umanitari delle Nazioni Unite, oltre 27 milioni di persone, circa un quarto della popolazione della Repubblica democratica del Congo, si trova ad affrontare una grave insicurezza alimentare, iniziata ancora prima della crisi ucraina.
Secondo il rapporto annuale dell’Intergrated food security phase classification (Ipc) tra aprile e agosto “si osserverà un deterioramento significativo della situazione nutrizionale”, con otto zone sanitarie che potrebbero passare “da una situazione grave a una situazione critica”, cinque zone potrebbero passare “da una situazione di allerta a una situazione critica”, e 34 zone sanitarie che potrebbero rimanere “in una situazione grave, se non saranno adottate misure per mitigare gli effetti della malnutrizione”.
A ciò si aggiunge l’incapacità o la non volontà di mettere in atto politiche agricole capaci di calmierare l’insicurezza alimentare, con investimenti nelle industrie di trasformazione e in un’implementazione dell’agricoltura. Nella Repubblica del Congo, solo per fare un esempio, solo il 4% delle terre coltivabili è sfruttato. E ciò capita, in particolare, in quegli stati ricchi di materie prime. I proventi delle esportazioni di petrolio raramente vengono investiti per la diversificazione economica.
Tutto ciò, tuttavia, non può essere attribuito solo alla guerra ucraina, ma già prima della pandemia da coronavirus le previsioni erano catastrofiche. La Banca africana di Sviluppo stima che le importazioni alimentari – prima della pandemia raggiungevano i 35 miliardi di dollari all’anno – nel 2025 raggiungeranno i 110 miliardi. Così l’Africa non può andare avanti.