AGI - Il gerontocrate di Kampala pensa alla successione? Yoweri Museveni, presidente e padre e padrone dell’Uganda, nega decisamente. Proibito nel paese parlare o solo ipotizzare una successione del capo. Ma Museveni, 77 anni, al potere dal 1986 quando presidente degli Stati Uniti era Ronald Reagan e Michail Gorbaciov si cimentava nella perestroika, forse ci pensa e come capita spesso in Africa il passaggio dello scettro potrebbe avvenire tra padre e figlio.
L’ascesa rapidissima e fulminea nei ranghi militari di Muhoozi Kainerugaba, unico rampollo di Museveni, fa pensare a più di un ugandese che sarà lui alla guida del pase in un prossimo futuro, forse nemmeno lontano. La sua influenza nel cuore del potere lo rendono il successore designato. Ma guai a parlarne.
Il vecchio che ama presentarsi in pubblico con il suo cappello a tesa larga, non tollera che il suo potere venga messo in discussione, anche se in questo caso si tratta del figlio. Tutti coloro che hanno criticato Museveni o lo hanno sfidato alla presidenza, hanno fatto una brutta fine. Vengono braccati, imprigionati o costretti all’esilio. L’ultimo episodio riguarda lo scrittore Kakwenza Rukirabashaija, arresto e processato per aver insultato il presidente e Kainerugaba con una serie di teewt. Lo scrittore ha riparato in Germania dopo aver affermato di essere stato torturato durante la sua detenzione.
L’ex candidato alla presidenza, Robert Kyagulanyi, più noto come Bobi Wine, continua a entrare e uscire dal carcere proprio per il suo impegno in politica e per la fida al capo supremo.
Museveni, forse, riserverà una sorte diversa al figlio. Kaineruga, ora 47 anni, è apparso al grande pubblico nel 1998. Giovane laureato, ha reclutato studenti per rimpolpare la guardia presidenziale, sollevando le prime domande sul desiderio di padre e figlio di costruire una dinastia politica. Museveni, tuttavia, non ha voluto nemmeno prendere in considerazione l’ipotesi.
Ma gli ugandesi non ci credono. Intanto hanno visto l’unico figlio del presidente – che ha anche tre figlie – lasciare il paese per studiare strategia militare nel Regno Unito, in Egitto, negli Stati Uniti, in Sud Africa e scalare i ranghi dell’esercito. “Mentre i corsi dell’alto comando militare si accumulavano, uno dopo l’altro, promozione dopo promozione, è diventato chiaro che Muhoozi era stato preparato per un alto ufficio militare”, osserva Lauben Oketch, specialista della sicurezza. E’ stato inviato in Sud Sudan e Somalia con contingenti ugandesi a sostegno dei governi locali, e ha anche partecipato a campagne contro i gruppi ribelli dell’Esercito di Resistenza del Signore (Lra) e delle Forze Democratiche alleate (Afd).
Ha guidato le potenti forze speciali. Fino a pochi giorni fa è stato comandante dell’esercito ugandese, è anche consigliere presidenziale anziano incaricato delle operazioni speciali, il cui raggio di azione si estende oltre il dominio militare. Le dimissioni dai ranghi dell’esercito, annunciate dallo stesso Muhoozi, rendono ancora più evidenti le sue intenzioni di rimpiazzare il padre alla guida del paese.
Se la successione sembra ovvia a molti ugandesi, il governo mette a tacere ogni discussione su questo argomento. Non se ne deve parlare. Nel 2013 la polizia ha chiuso due giornali e due stazioni radio per aver pubblicato un promemoria riservato in cui si affermava l’esistenza di un “Progetto Muhoozi”, una sorta di complotto per la successione. Il suo autore, l’ex direttore dell’intelligence David Sejusa, è fuggito nel Regno Unito per paura di ritorsioni, facendo sapere che chiunque si fosse opposto a questo progetto avrebbe rischiato la morte. Molti degli ex alleati di Museveni, compreso il suo medico personale Kizza Besigye, diventato una figura dell’opposizione, hanno proprio litigato con il presidente e l’argomento, manco a dirlo, l’ascesa di suo figlio, definito da molti un “Baby deposta”.
A differenza di suo padre che ama i bagni di folla, Kainerugaba, sposato con una donna d’affari e tre figli, appare raramente in pubblico. Preferisce manifestare le sue opinioni attraverso twitter. Non sono mancati i suoi commenti sul colpo di stati in Guinea nel 2021 e sulla guerra nel nord dell’Etiopia, dove ha elogiato i ribelli tigrini per il loro “carattere indomito”. Forte imbarazzo ha suscitato il tweet con il quale ha espresso la sua solidarietà a Mosca nella guerra in Ucraina, spiegando che “la maggior parte dell’umanità, che non è bianca, sostiene la posizione della Russia”.
Sentendosi al di sopra delle parti non si cura del fatto che i suoi commenti social possano causare disagio a Kampala, ma lui ha un potere infinito, solo al di sotto, ma di poco, a quello del padre. Almeno così pensa. Secondo un diplomatico ugandese, che mantiene l’anonimato per ovvie ragioni, “Muhoozi dovrebbe sapere che non è un comune ugandese, i suoi commenti possono essere interpretati come una posizione dell’Uganda”. Il deputato dell’opposizione, Muwanga Kivumbi, ritine che “mettere a disagio il Paese, può fare precipitare il nostro paese in guerra con i suoi commenti irresponsabili”.
Gli interventi di politica estera di Kainerugaba non si limitano, però, ai social. Fa anche “prove” di presidenza. In particolare, gli viene attribuito un ruolo chiave nel recente avvicinamento tra Uganda e il vicino Rwanda, dove si è recato a fine gennaio per incontrare il presidente Paul Kagame.
In Uganda, questa figura divisiva, temuta da molti, è elogiata anche per le sue azioni filantropiche: ha pagato le spese mediche degli studenti e, durante il campionato africano di basket del 2021, quelle dell’hotel per la nazionale. Secondo molti, Kainerugfaba è l’unica persona a cui Museveni cederebbe il potere, ma lui continua a negare ogni ambizione presidenziale: “L’Uganda non è una monarchia in cui il potere si passa di padre in figlio”. Certamene è un modo per proseguire nella dinastia, gli esempi in Africa sono numerosi e spesso accade con la morte del padre. Naturale o meno che sia come è capitato nella Repubblica democratica del Congo, dove l’ascesa di Kabila figlio avvenne dopo l’assassinio del padre – che era capo di stato – per mano, si dice, proprio della guardia presidenziale.